· Città del Vaticano ·

La Giornata internazionale della pace indetta dalle Nazioni Unite

Educare per gettare semi di speranza

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21 settembre 2020

A pochi giorni dalla Giornata mondiale per la democrazia, si celebra quella indetta dalle Nazioni Unite per la pace: quella stessa pace che nella visione di Papa Francesco si definisce e realizza «come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica». A distanza di un anno — un anno ferito dalla pandemia — si registra, per la prima volta nella storia dell’Onu, un cambio di passo nella consapevolezza delle minacce a cui è esposta la pace nel mondo: con la Risoluzione 2177, destinata a rappresentare uno spartiacque nella prassi del Consiglio, una malattia infettiva viene riconosciuta e classificata come minaccia a pace e sicurezza internazionali (art. 39, Carta dell’Onu).

Quel cammino a cui alludeva il Pontefice rievoca, ora, un sentiero più stretto, in cui il covid-19 si inserisce come elemento di frattura nei processi di ricomposizione tra i popoli e come fattore di accelerazione da emergenza sanitaria a crisi umanitaria, favorendo così l’humus ideale di ricadute sulla tutela dei diritti fondamentali, sulla difesa del valore della vita umana e sulla tenuta stessa della democrazia.

Non a caso il segretario generale dell’Onu António Guterres, nell’esercizio delle proprie funzioni politiche autonome (art. 99 della Carta Onu), ha invitato a tenere conto di quanto e come la condizione sanitaria, che si è venuta a creare a livello globale, incida nelle situazioni di conflitto, pregiudichi il ripristino della pace nelle regioni post-belliche, comprometta il dialogo e le relazioni diplomatiche e quanto e come metta a repentaglio la sicurezza internazionale.

Da qui, la necessità di una mobilitazione, coordinata a livello istituzionale e con le diverse organizzazioni in campo, per un mutuo soccorso dei singoli Paesi e, in particolare, in sostegno dei quaranta più vulnerabili, a favore dei quali le stesse Nazioni Unite interverranno attivando un Fondo di aiuti, a fianco della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale (Fmi). In questo contesto si inserisce la proposta della direttrice operativa dell’Fmi, Kristalina Georgieva, per la sospensione del pagamento del debito estero contratto da tali Paesi e per la concessione dei fondi per aiuti sanitari, sul modello dello stesso procedimento adottato durante l’epidemia di ebola, che nel 2014 era scoppiata in Africa occidentale. Il contrasto a disuguaglianze sociali, divario economico, sperequazioni finanziarie costituisce una leva straordinaria per la ricomposizione delle fratture, siano esse sociali o religiose, generazionali o di genere, che rompono quell’equilibrio alla base della convivenza pacifica all’interno e tra le comunità. Che tutto il contesto internazionale si faccia garante di una risposta per la ripartenza economica che non lasci indietro nessuno e si mobiliti sul fronte finanziario come condizione per una pace diffusa e duratura è essenziale per coinvolgere le nuove generazioni ad una maggiore consapevolezza su questi temi.

Anche in Italia è stata avviata un’iniziativa che ha trovato seguito in tante altre scuole di formazione politica dedicata alla sensibilizzazione dei più giovani, motore di pace. «Come Global Thinking Foundation abbiamo scelto di sostenere la Scuola di Politica per Giovani Donne-Prime Minister, dedicata alle ragazze tra i 14 e i 19 anni, nella consapevolezza che educare giovani studentesse al confronto su temi quali i diritti umani, la giustizia sociale, la parità salariale di genere, l’attivismo politico e la cooperazione su progetti di interesse e sviluppo comuni, getti il seme per un futuro di pace», spiega Claudia Segre, Presidente di Global Thinking Foundation, da anni impegnata per la diffusione dell’alfabetizzazione economico-finanziaria e per l’equiparazione retributiva tra uomini e donne, come strumento per il superamento di profonde disuguaglianze sociali e, quindi, come conditio sine qua non di convivenza pacifica. «Questo percorso scolastico si pone anche come una sfida di genere e una generazionale, perché nel nostro Paese, ma anche in larga parte del mondo occidentale più sviluppato, donne e giovani si scontrano ancora con molte contraddizioni e ostacoli: occorre avere il coraggio di cambiare, inaugurando un vero new deal» sottolinea Segre, che sarà protagonista di una delle sessioni con un intervento sul legame tra economia circolare e sostenibilità economica: «Abbiamo condiviso con le studentesse l’esigenza di far tesoro di questa esperienza di chiusura, durante la fase più acuta della pandemia, per immaginare un futuro necessariamente retto da una solida sinergia tra governi, imprese e società civile: solo collaborando a 360° sarà possibile gestire in modo efficiente le risorse del nostro pianeta e gettare, quindi, i semi per un mondo più giusto e in pace».

Modelli sostenibili e nuovi posti di lavoro con al centro la partecipazione femminile contribuirebbero in modo sostanziale ad invertire tendenze che minacciano la pace mondiale e il futuro assetto internazionale: «Occorre puntare ad un maggior benessere famigliare diffuso, e, in questa direzione, potrebbero essere un volano gli investimenti in progetti a tutela dell’ambiente e nuovi paradigmi circolari» conclude Claudia Segre, ricordando l’importanza della formazione: «Della scuola Prime Minister, nata nel 2019, abbiamo già tenuto tre e dizioni — due a Favara e una a Napoli — ora inaugureremo le sessioni in altre sedi, in Lazio e nel nord, oltre a Sicilia e Campania». Durante gli incontri mensili, che si protrarranno per quasi un anno, le studentesse incontreranno esponenti del mondo delle istituzioni, del terzo settore, del volontariato e della cultura, intellettuali e scienziati. Nelle passate edizioni, ad esempio, le giovani donne hanno approfondito il contesto storico e sociale post-bellico in cui si sono trovate le madri costituenti durante i mesi di lavoro alla nostra Costituzione. E ancora, si sono confrontate con le motivazioni e le modalità con cui alcuni deputati e attivisti si sono uniti andando per mare con la nave Mediterranea-Saving Humans a salvare vite umane, migranti di ogni età e provenienza. Hanno poi incontrato le delegazioni di varie associazioni, discusso con chi è impegnato nella tutela dei diritti delle donne vittime di violenza, dei disabili, dei carcerati, dei minori e degli emarginati, hanno raccolto le testimonianze di chi lavora in Africa per la cooperazione allo sviluppo. Un percorso di crescita, di condivisione e scambio teso a rendere consapevoli i giovani del grande potenziale e della nobiltà della Politica, intesa come arte di interpretare e guidare la società, rispondendo ai suoi bisogni profondi e tutelandone tutte le componenti: e questo è, in ultimo, un progetto di pace. «In particolare, per le giovani donne comprendere la dimensione umana e il ruolo sociale della politica significa anche maturare la consapevolezza di sé e dei propri diritti, investire sulle aspirazioni personali e alimentare il motore del cambiamento, facendo sentire la propria voce, a scuola e sul lavoro, come soggetti protagonisti della società civile». Prendere parole perché l’altro possa averla, acquisire forza per restituirla a chi l’ha persa, indicare una strada comune, nei fatti, significa farsi costruttrici di pace.

di Silvia Camisasca