Evento in Piemonte e Valle d’Aosta nel segno dei “santi sociali”

Dono che va accolto

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26 settembre 2020

Una terra, il Piemonte, che ha dato i natali ai “santi sociali” come Giovanni Bosco, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Leonardo Murialdo e il beato Pier Giorgio Frassati tanto per citarne alcuni, i quali in periodi diversi hanno avuto la grande capacità di leggere i segni dei tempi e di essere solleciti nel rispondere alle emergenze e ai bisogni del territorio. È anche nel loro esempio e nel loro carisma, per costruire un modello di società più giusta e inclusiva, che le diocesi piemontesi e della Valle d’Aosta si apprestano a celebrare, domenica 27 settembre, la 106a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, il cui tema per l’edizione del 2020, scelto da Papa Francesco, è «Come Gesù Cristo, costretti a fuggire. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni».

Gli obiettivi e le diverse iniziative dell’evento — cineforum, spettacoli teatrali, concerti, incontri tra giovani — il cui momento centrale sarà costituito dalla santa messa nella cattedrale del capoluogo, presieduta dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, e trasmessa in diretta televisiva su Rai Uno alle 11, sono stati illustrati da quest’ultimo nel corso della conferenza stampa di presentazione, in cui il presule ha ricordato anche l’intenso lavoro «che si compie ogni giorno nelle sedi diocesane della Migrantes o della Caritas». Si prosegue così anche quest’anno sul cammino tracciato da san Pio X, quando nel 1914 istituì la Giornata nazionale dell’emigrante, segno di vicinanza e attenzione ai tanti italiani che cercavano fortuna all’estero.

I “santi sociali”, è scritto su un comunicato del Coordinamento regionale degli uffici Migrantes delle diocesi del Piemonte e della Valle d’Aosta, «ci sollecitano a esprimere alcune preoccupazioni, raccomandazioni e richieste che riguardano i nostri fratelli e sorelle arrivati da lontano». Il Piemonte, pur non essendo una regione interessata dagli sbarchi, spiega la nota, è comunque un territorio di passaggio perché al confine con la Francia e luogo dove si verifica una grande concentrazione stagionale di manodopera straniera, ad esempio per la raccolta della frutta. Per i migranti in particolare, sottolinea il documento, la pandemia ha rappresentato il passaggio dalla sovraesposizione mediatica e politica alla scomparsa dalla cronaca, per poi ritornare, con la ripresa degli sbarchi in Italia, a occupare la scena dipinti come “untori” o “balordi”. Per questo, puntualizza il Coordinamento regionale, la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato costituisce l’occasione per evidenziare ancora una volta quanto sia necessario continuare a impegnarsi perché i migranti, forzati e non, siano riconosciuti come portatori di doni e talenti oltre che di diritti e dignità. «Quando incontro o ho a che fare con una persona migrante — ha sottolineato l’arcivescovo di Torino nel corso della conferenza stampa — ringrazio Dio perché mi ha offerto un dono grande che mi sollecita a riconoscerlo e ad accoglierlo nella persona di tanti nostri fratelli e sorelle che sono giunti nel nostro Paese e necessitano di una costante solidarietà e prossimità, come si usa tra figli dello stesso Padre Celeste».

Noi credenti, prosegue il comunicato, non possiamo che partire dalle parole di Gesù nel vangelo di Matteo (25, 35) «... Ero forestiero, mi avete ospitato». Da qui viene preso lo spunto per affrontare quelle che sull’argomento sono ritenute le priorità di azione come, ad esempio, il superamento del binomio permesso di soggiorno-lavoro evitando di regolarizzare lavoratori irregolari solo per necessità occupazionali in determinati settori produttivi e non mossi da un sentimento di giustizia sociale; e rivedere i decreti-sicurezza, soprattutto quelli contenenti provvedimenti che hanno di fatto creato decine di migliaia di nuovi irregolari e cancellato migliaia di posti di lavoro, condannando all’esclusione sociale ed esponendo alla deriva dell’illegalità molte persone arrivate in Italia dalla loro entrata in vigore. L’immigrazione, infatti, ha rimarcato ancora una volta Nosiglia, «ci invita a considerare ogni popolo ed ogni uomo una ricchezza per tutta l’umanità».

Riflettere su questo significa anche riconoscere a tutti quei diritti fondamentali che sono propri di ogni persona umana e di ogni famiglia, «superando discriminazioni, indifferenza, rifiuti preconcetti ed estraneità sia sul piano religioso che civile»: il diritto alla cittadinanza, in primo luogo a partire dai minori nati in Italia, ha aggiunto il presule; il diritto al lavoro «che in questo tempo di crisi sta diventando sempre più precario o è assente del tutto»; alla casa, all’istruzione per i ragazzi, alla salute, «diritti che la Costituzione italiana pone a fondamento del vivere civile del nostro popolo». Prevenire, gestire ed accompagnare le persone immigrate e, se ci sono, le loro famiglie in difficoltà, è compito di tutti, ha precisato l’arcivescovo di Torino a conclusione del suo intervento. «La solidarietà va di pari passo con la giustizia — ha rimarcato — perché non è possibile dare per carità ciò che prima è dovuto per giustizia». Nello stesso tempo non bisogna mai dimenticare, ha aggiunto, «che ogni persona abbisogna di un sostegno morale e spirituale altrettanto e a volte anche più importante di quello materiale per avere la forza di affrontare situazioni di abbandono, di divisione e di sofferenza». Ecco perché, ha concluso il presule, l’accompagnamento degli operatori deve svolgersi a tutto campo, con una preparazione specifica che sia in grado di «gestire il rapporto con umanità e fraterna condivisione».

di Rosario Capomasi