L’uomo «essere narrante» nell’opera di J.R.R. Tolkien, morto 47 anni fa
Il 2 settembre 1973 moriva J.R.R. Tolkien il famoso inventore degli Hobbit e autore de Il signore degli anelli, uno dei romanzi più letti al mondo; un grande narratore che di sicuro avrebbe apprezzato il messaggio del Papa per la giornata mondiale delle comunicazioni tutto incentrato sul tema del racconto perché, dice Francesco: «L’uomo è un essere narrante» e tutti noi, esseri narranti, «per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri». Tolkien è stato un gran tessitore di storie, convinto com’era che la creatività è la cifra che contraddistingue la natura umana, al punto da definire l’uomo “sub-creatore”: un essere scelto dal Creatore a continuare la creazione non solo con la paternità naturale o spirituale ma anche con la paternità artistica.
Pur essendo inglese, Tolkien fu un fervente cattolico e tra i lettori e i critici è spesso emersa una discussione sul “peso” del suo credo nella produzione delle storie; da questo punto di vista è illuminante quanto ha rivelato la figlia Priscilla sullo “stile” del padre rispetto alla dimensione religiosa: «Sebbene io sia profondamente consapevole della pietà e della fede religiosa di mio padre non lo ricordo mai intento a parlare su dogmi o dottrine in termini intellettuali o astratti. Non penso infatti che avesse particolarmente a cuore il fatto di scrivere o parlare della religione in modo didattico: il suo modo era di esprimere temi religiosi e questioni morali attraverso il medium dello story-telling». In altre parole vale per Tolkien l’affermazione di Benedetto spesso ripetuta da Francesco: la fede cresce per attrazione non per proselitismo.
Senza dubbio è evidente l’enorme attrazione che le storie di Tolkien continuano ad esercitare a distanza di quasi settant’anni dalla loro pubblicazione. Forse perché è impossibile disgiungere da quelle storie la visione che Tolkien aveva dell’importanza cruciale del racconto, un fatto collegato strettamente con il destino stesso dell’uomo e con il mistero della sua posizione sulla terra perché, come diceva Chesterton che Tolkien conosceva bene, «la letteratura può essere un lusso, ma la narrativa è una necessità».
È sufficiente, per rendersene conto, leggere il suo saggio Sulle fiabe, così come la sua vasta produzione epistolare, testi che contengono moltissimi spunti che illuminano la sua concezione dell’arte narrativa non come un orpello o un passatempo ma appunto come una necessità intrinseca all’essenza stessa dell’umanità. Ad esempio scrive al figlio Christopher in una lettera del 7 novembre 1944 parole che appunto avremmo potuto trovare nel messaggio del Papa (che peraltro ben conosce le opere di Tolkien): «L’uomo, narratore, deve essere redento in modo consono alla sua natura: da una storia commovente».
A.M.