Sono finora 137 i morti accertati e 5.000 i feriti causati dalla devastante esplosione avvenuta martedì pomeriggio nel porto di Beirut. Ma il bilancio, già tragico, è destinato da aggravarsi, considerato anche il centinaio di dispersi e le condizioni di alcuni ricoverati. Gli ospedali sono peraltro al collasso; molte strutture non riescono, infatti, a far fronte all’emergenza. Intanto il mondo si sta mobilitando per organizzare gli aiuti alla capitale libanese ferita.
«È una situazione terribile e disastrosa e oggi ci troviamo nella confusione più totale» ha detto Rita Rhayem, direttore di Caritas Libano, il cui staff si è immediatamente attivato per soccorrere le persone colpite dall’esplosione. La confederazione Caritas sta inoltre lanciando un piano di emergenza coordinato dal segretariato generale di Caritas Internationalis per assistere immediatamente i feriti e le migliaia di persone sfollate a causa del disastro. «La situazione è critica — ha sottolineato Rhayem — e questa è la prima volta che affrontiamo un’emergenza di tale portata. La situazione è apocalittica, ma noi non ci fermiamo e andiamo avanti per aiutare tutte le persone in difficoltà».
Anche il quartier generale di Caritas Libano è stato gravemente danneggiato dall’esplosione nel porto. Provvidenzialmente, fa sapere una nota, l’ufficio aveva chiuso poco prima dell’esplosione e quindi nessuno tra lo staff è rimasto ferito.
Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha scritto ieri su Twitter: «Nostra Signora di Harissa, Regina del Libano, prega per il popolo libanese! Il Signore conceda loro giustizia e pace!»
Anche l’Unione europea si è detta «pronta a rispondere alle esigenze più urgenti del Libano e a fornire tutta l’assistenza necessaria» si legge in un comunicato. A tale scopo, Bruxelles «sta lavorando con i suoi Stati membri per fornire sostegno il più rapidamente possibile». Offerte di aiuti e mobilitazioni sono state offerte da vari Paesi, tra i quali soprattutto Israele, Iran e Stati Uniti.
Oggi il presidente francese, Emmanuel Macron, è atteso nella capitale libanese per rendere omaggio alle vittime del disastro e in segno di solidarietà al governo. Ieri il primo ministro libanese Hassan Diab, ha fatto appello agli aiuti internazionali affermando che «stiamo assistendo a una vera catastrofe».
Intanto, si continua a scavare tra le macerie alla ricerca dei dispersi. Le distruzioni maggiori si registrano nei quartieri orientali vicini al porto: Mar Mikhael, Geitawi, Ashrafieh, Bourj Hammoud. Ma lo spostamento d’aria ha scardinato porte e mandato in frantumi finestre fino a chilometri di distanza. Il presidente della Repubblica, Michel Aoun, ha convocato per oggi una riunione con il governo, chiedendo che i responsabili siano presto individuati. L’esecutivo ha chiesto alla magistratura di mettere agli arresti domiciliari tutti i responsabili che nel porto hanno avuto a che fare con la gestione del nitrato di ammonio.
Gli analisti, intanto, sono ancora divisi sull’origine dell’esplosione: molti parlano ancora di un possibile incidente o attentato. «Nessuno sa la causa delle esplosioni di Beirut» ha detto ieri il presidente statunitense, Donald Trump, spiegando che la sua amministrazione «lavora al fianco delle autorità libanesi».