Dopo una lunga odissea Juniò torna ad abbracciare la mamma

Una casa lontano da casa

FILE PHOTO: The Sea-Watch 3 rescue ship leaves after migrants disembarked at the port in Lampedusa, ...
10 luglio 2020

«Provo emozione. Provo felicità. Ho ritrovato il mio bambino». Dopo l’abbraccio che ha commosso l’Italia, l’ivoriana Aisha Binate, 21 anni, pronuncia queste parole. Lei e la figlia Rama, detta Princesse, alla francese, hanno finalmente trascorso la notte con Mohammed Junior, per tutti Juniò, nel centro d’accoglienza per richiedenti asilo di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Non lo facevano da sette mesi. Il piccolo, 6 anni come Rama, ha, infatti, compiuto la traversata nel Mediterraneo da solo.

Dalla Libia all’Italia senza mamma né papà (deceduto, appunto in Libia, probabilmente perché ucciso o vittima di un incidente sul lavoro), Juniò è stato prima messo in salvo sulla Sea Watch, poi imbarcato, per la quarantena di due settimane, sulla Moby Zazà e, alla fine, lo scorso martedì 7 luglio, si è ricongiunto con il resto della famiglia. Ora, nel Cara calabrese, mentre gioca con una tigre e un orso di peluche insieme alla gemella, ascolta la mamma raccontare la sua esperienza, una favola, una storia, fortunatamente, a lieto fine.

«Ho lasciato — dice Aisha col suo francese dolce — la Costa d’Avorio per la Libia nel 2018. A gennaio 2020 sono arrivata in Italia. Con me, però, c’era solo Princesse, non potevo portare sul gommone tutti e due i gemelli». E Juniò? «Rimasto in Libia — chiosa la giovane donna — insieme alla mia amica Mariam, con la quale, solo inizialmente, sono riuscita a mantenere i contatti telefonici. In seguito, non ho avuto più notizie: mi sono disperata». «Tempo dopo — prosegue — ho scoperto, grazie a un’altra ivoriana conosciuta in Libia, che la mia amica e mio figlio stavano raggiungendo l’Italia». Erano a chilometri di distanza dalla prigionia, dai conflitti. Direzione libertà.

È una volta ripresi i contatti con Juniò che, così, in Aisha si riaccende la speranza. «Mentre lui era sulla Moby Zazà — racconta — mi mostrava i suoi disegni. Raffiguravano la nostra famiglia, me, Rama e suo padre. Io, invece, gli cantavo una ninna nanna, che al momento non riesco a tradurre in francese, è nella mia lingua madre, una canzoncina che veniva recitata a me, da bambina, per cullarmi. Grazie a quei disegni, a quella ninna nanna che ha ascoltato, sono sicura che mio figlio sia sempre stato coraggioso: Mariam, del resto, me lo conferma, dice che Juniò, nel corso della traversata, ha dato anche a lei la forza di andare avanti, di farcela».

Qualche secondo dopo, arriva pure la conferma del diretto interessato. «Ho avuto coraggio — dice il piccolo — perché volevo rivedere mia mamma». Poi torna a giocare con Rama, sorridono, si abbracciano, si scambiano i pupazzi che hanno in mano; alle loro spalle si intravedono altri disegni: attaccati alle pareti, i fogli raffigurano molte case, una casa grande, una casa piccola, una casa gialla. Una casa lontano da casa.

Nel frattempo, in attesa del trasferimento da Crotone a Roma, Aisha rende anche noto che «sarà dura lasciare Mariam, lei ha una bambina di tre mesi, che guarda caso ha chiamato Aisha, ed è diventata come una sorella. Ma bisogna pensare al futuro di Juniò e Rama». Un futuro migliore, diverso. «Mi auguro che il domani sia bello soprattutto per i miei figli, non tanto per me». Ecco che, a questo punto, Aisha si intristisce, lo sguardo diventa basso, si copre con le lunghe treccine, sembra che queste, nascondendole schiena, braccia e parte del viso, la proteggano dai brutti pensieri. Ci pensano, tuttavia, Juniò e Rama a tirarla su: interrompono la mamma per dire un po’ dei loro sogni e suscitare la simpatia dei presenti per la loro spontaneità. Cosa volete fare da grandi? «Gli avvocati, oppure i poliziotti o i militari», rispondono entrambi, abituati ormai ad essere circondati da uomini e donne in divisa.

Con Aisha, i piccoli e l’amica Mariam, nella stanza del centro d’accoglienza, quella da cui è in corso la videochiamata, ci sono anche la psicologa e operatrice della Croce rossa italiana – Comitato di Crotone, Elvira Anania, la mediatrice linguistica e culturale Daniela Condemi e il direttore del Cara di Isola Capo Rizzuto, Mario Siniscalco. Tutti loro — operatori, volontari del centro e della Cri, autorità territoriali in Sicilia e in Calabria — hanno costantemente lavorato per riunire la famiglia.

«Nonostante sia il nostro mestiere, nonostante l’allenamento e la professionalità, assistere alle videochiamate tra Juniò e Aisha è stato difficile, toccante. Per quell’abbraccio, quello che avete visto tutti in televisione, sui giornali o sui social, abbiamo tifato fortemente», afferma Anania. La segue Siniscalco (il Cara di cui è alla guida conta attualmente 750 persone) che dichiara: «Quando qui sono arrivati i tre pullman, mi sono fiondato alla ricerca di Juniò. Solo dopo averlo visto mi sono rasserenato: il centro d’accoglienza è come un paese e oggi il paese è in festa».

Una festa in cui si celebra il ritorno alla vita (Aisha, d’altronde, significa “vivente”) di Juniò, il bambino dei disegni dove sono custoditi i sogni.

di Enrica Riera