Caritas Ambrosiana continua a sostenere migliaia di persone in difficoltà

La solidarietà non va in vacanza

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13 luglio 2020

Sono 40.000 nell’arcidiocesi di Milano le persone, per lo più giovani, che ricevono aiuto e assistenza da quando la pandemia ha rallentato e indebolito l’economia lombarda. «Si tratta di un vero e proprio dramma sociale che potrebbe aggravarsi — spiega al nostro giornale Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana — a partire dal prossimo settembre, quando terminerà la cassa integrazione e migliaia di persone si ritroveranno senza un reddito. Stiamo navigando a vista anche perché non sappiamo, al momento, quante aziende, negozi, bar e ristoranti saranno ancora in grado di reggersi sulle proprie gambe e ripartire. Caritas Ambrosiana sta cercando di mettere a punto dei corsi di formazione e riqualificazione professionale per fornire ulteriori strumenti a quanti non avranno più un posto di lavoro».

La quarantena è finita sì, ma c’è chi non è ancora uscito dal lockdown. Anzi, al contrario, in queste settimane ha visto peggiorare ulteriormente la propria situazione. Migliaia di giovani e adulti, colf e badanti, che vivevano di lavori precari e che adesso non possono contare su quel poco che guadagnavano. I dati raccolti dai principali servizi della Caritas Ambrosiana forniscono un quadro molto problematico a quattro mesi dall’inizio della crisi sanitaria dovuta al coronavirus e dal dispiegarsi dei suoi effetti collaterali. I casi più gravi sono stati intercettati dal Servizio accoglienza immigrati (Sai), di via Galvani 16, nei pressi della stazione Centrale di Milano. Nel solo mese di giugno, allo sportello che offre accoglienza, assistenza legale e orientamento lavorativo, sono stati più di 80 gli stranieri che hanno chiesto aiuto perché non hanno più potuto permettersi di pagare l’affitto della stanza negli appartamenti che in genere condividono con i propri connazionali. Una situazione inedita nel capoluogo lombardo, perché per la prima volta l’emergenza abitativa è direttamente collegata alla crisi sanitaria. «Anche per questa ragione — ha ricordato il direttore di Caritas Ambrosiana — abbiamo attivato dei dormitori e stiamo cercando strutture in grado di poter ospitare chi non ha più un tetto». A chiedere aiuto sono stati per l’80 per cento uomini, per il 20 per cento donne, prevalentemente (60 per cento) provenienti dall’Africa subsahariana (Senegal, Nigeria, Guinea, Mali) e per il resto da Paesi orientali (Afghanistan, Sri Lanka) e dall’America Latina, come Perú e Bolivia.

Continua, inoltre, a rimanere alta la richiesta di generi alimentari. Secondo l’ultimo report relativo al mese di giugno, nella sola città di Milano, sono 2.500 le persone costrette a fare la spesa ai tre Empori della Solidarietà che Caritas Ambrosiana ha aperto rispettivamente nei quartieri di Barona, Lambrate e Niguarda. Tra queste persone, quasi il 66 per cento ha iniziato ad usufruire del servizio già dal mese di marzo, cioè da quanto l’intero Paese si è fermato per evitare il diffondersi del contagio. L’incremento è stato più basso fuori città (+35 per cento) dove però accanto al sistema di empori e botteghe solidali promossi dalla Chiesa locale è rimasta attiva anche la distribuzione di pacchi viveri attraverso 126 centri di ascolto parrocchiali, consentendo complessivamente di raggiungere 18.092 persone. «Per evitare che il numero delle persone che chiede aiuto alle nostre strutture possa aumentare — ha ricordato Gualzetti — a settembre inaugureremo a Rho e a San Giuliano, sempre nell’arcidiocesi di Milano, altri due empori. Naturalmente, a luglio e ad agosto nessuna delle nostre strutture andrà in vacanza. Rimarranno operative e a disposizione di chi ha bisogno».

Altro dato allarmante emerge anche dai profili dei beneficiari del Fondo San Giuseppe, fortemente voluto dall’arcivescovo Mario Delpini, insieme al sindaco, Giuseppe Sala, con un sostegno significativo da parte dell’amministrazione comunale, per aiutare chi si trova in difficoltà economica in conseguenza della crisi sanitaria. Dei 903 beneficiari al mese di giugno, circa il 30 per cento ha già perso il posto di lavoro, tra questi, l’8,3 per cento è costituito da colf e badanti, figure professionali per le quali non vale il blocco dei licenziamenti e il 21,2 per cento da lavoratori assunti con contratti a termine non rinnovati, per lo più nell’ambito della ristorazione e del settore alberghiero.

«Non sappiamo cosa accadrà quando la moratoria dei licenziamenti finirà — ha ribadito il direttore dell’ente caritativo lombardo — quello che possiamo documentare è che, purtroppo, per una parte di lavoratori più deboli e meno qualificati in genere questo tappo è già saltato. Chi perde il lavoro ora rischia di rimanere intrappolato in una condizione di impoverimento per lungo tempo. Dalla fase di assistenza cui la Caritas con la diocesi tramite il Fondo San Giuseppe sta provvedendo, bisogna sin da ora immaginare anche la fase della ricostruzione con la collaborazione delle imprese e delle istituzioni affinché — ha concluso — si immaginino percorsi di riqualificazione e di affiancamento sociale in grado di traghettare le vittime del lockdown nel nuovo mondo post covid-19».

di Francesco Ricupero