Nelle Filippine comunità religiose e movimenti della società civile contestano la nuova legge sull’antiterrorismo

La pace è l’unica via per la pace

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28 luglio 2020

C’è fermento e mobilitazione nella società delle Filippine, l’arcipelago definito “il polmone cattolico” d’Asia. Cittadini, comunità religiose, associazioni, movimenti della società civile, gruppi per i diritti umani, accademici, avvocati, studenti continuano a indire cortei e manifestazioni per deplorare l’approvazione e l’entrata in vigore della legge anti-terrorismo, avvenuta il 18 luglio scorso, promossa e sbandierata come “una conquista” dal presidente Rodrigo Roa Duterte e dal suo governo, che detiene saldamente la maggioranza in Parlamento. Anche ieri le strade di Manila sono state teatro di manifestazioni.

Il Congresso delle Filippine ha approvato la legge antiterrorismo il 3 giugno scorso, con 173 legislatori che hanno dato voto favorevole, 31 membri contrari e 29 astenuti. La legge, firmata il 3 luglio dal capo dello Stato, ed entrata ufficialmente in vigore 15 giorni dopo, conferisce poteri senza precedenti all’esecutivo. Un nuovo organo chiamato “Consiglio antiterrorismo” — composto da alti funzionari politici e militari — ha il potere di ordinare l’arresto, il congelamento dei beni o la sorveglianza di individui e organizzazioni sospettati di essere terroristi. Il fatto che membri dell’esecutivo esercitino poteri che dovrebbero essere appannaggio della magistratura desta preoccupazione, minando il principio della separazione di poteri. Il testo di legge, notano i gruppi per i diritti umani, spiana la strada all’autoritarismo su vasta scala, permettendo al presidente e al governo di liberarsi dei rivali politici e dei dissidenti. L’ampia definizione di “terrorismo” include, infatti, l’incitamento a presunte "attività terroristiche" mediante discorsi, scritti e striscioni. L’amministrazione Duterte ha spesso etichettato i politici dell’opposizione, attivisti, sindacalisti e avvocati per i diritti umani come “terroristi” o “comunisti”, equiparando l’attivismo e il dissenso alla violenza politica volta a rovesciare il governo. La legge consente inoltre alle autorità di arrestare i “sospetti terroristi” senza mandato e di trattenerli per 14 giorni, prorogabili a 24 giorni, senza accuse comprovate.

La Chiesa cattolica nelle Filippine, nelle sue articolazioni istituzionali (vescovi, ordini religiosi) e comunitarie (parrocchie, movimenti ecclesiali, gruppi di fedeli) non è affatto estranea al fermento che attraversa la politica, la società, i mass-media e condivide l’allarmismo per l’erosione del sistema democratico nella nazione. «Alla luce della fede — hanno ammonito i Superiori maggiori degli ordini religiosi maschili e femminili — non possiamo in coscienza aderire ad una legge che può danneggiare la dignità umana e i diritti umani. In un momento in cui la nostra gente sta combattendo gli effetti del covid-19, non troviamo alcun motivo plausibile per approvare una legge che non serve ad alleviare la loro misera situazione». I responsabili delle congregazioni religiose cattoliche maschili e femminili hanno accolto con favore l’iniziativa di avvocati e di altri leader civili che hanno presentato vari ricorsi alla Corte suprema, definendo la legge «draconiana e incostituzionale».

In un clima sociale piuttosto surriscaldato, i vescovi filippini hanno fatto sentire la loro voce, scrivendo una lettera pastorale che è stata letta in tutte le chiese del Paese: «Nel mezzo di questo panorama politico desolato, troviamo consolazione nei gruppi di avvocati e cittadini ordinari che hanno presentato petizioni dinanzi alla Corte suprema, mettendo in discussione la costituzionalità della nuova legge firmata. Il massimo livello della nostra magistratura farà valere la sua indipendenza, o anche loro cederanno alle pressioni politiche?». Il documento — firmato dal vescovo di Kalookan, Pablo VIrgilio S. David, presidente ad interim della Conferenza episcopale delle Filippine (dopo l'indisposizione di salute che ha colto il presidente monsignor Romulo G. Valles, arcivescovo di Davao) — rileva le criticità del sistema democratico: le false accuse di “sedizione” portate contro il clero; la lunga scia di omicidi relativi alla “guerra alla droga”; la prolungata detenzione della senatrice dell’opposizione Leila de Lima; e la chiusura dell'emittente Abs-Cbn — che aveva apertamente criticato il presidente Duterte — la cui concessione per le trasmissioni non è stata rinnovata dal Parlamento. Deplorando il modo in cui «le pressioni politiche dall’alto» hanno influenzato i legislatori, che non hanno ascoltato «le voci dal basso», i vescovi hanno invitato tutto il popolo di Dio a una speciale preghiera per il bene comune della nazione.

Lo spirito della Chiesa è quello della “collaborazione critica” con il potere: cita Karl Popper il teologo e sacerdote lazzarista, Daniel Franklin Pilario, mentre spiega a «L’Osservatore Romano» lo stato e le ragioni della mobilitazione: «La tirannide è sempre dietro l’angolo e l’unica arma è non smettere mai di vigilare». Il religioso ricorda una stagione che ha portato le Filippine alla liberazione della dittatura: «Ero qui, in queste stesse strade, con una folla di persone, il 24 e 25 febbraio 1986, quando ero ancora un giovane seminarista. Oggi, rivivo nuovamente ciò che ho provato durante i giorni del “People Power”: l’emozione, il disgusto, la rabbia, la dedizione, l’impegno dei giovani», racconta, riferendosi alla cosiddetta “Rivoluzione dei Rosari”, il vasto movimento popolare che pose fine alla dittatura di Ferdinand Emmanuel EdralinMarcos. Facendosi interprete di tanti sacerdoti e religiosi filippini, aggiunge: «Anche io protesto contro questa legge pericolosa e ingiusta. Piango per le uccisioni extragiudiziali che vedo da vicino, per le vedove e gli orfani. Deploro tutte le azioni di questo governo che sono contro la sensibilità e la dignità umana che i miei genitori, i miei insegnanti e le mie guide spirituali mi hanno insegnato nella vita. È tempo di resistere».

La Chiesa, notano i leader cattolici, è certamente contro il terrorismo, «tuttavia, non desideriamo affrontare la violenza e la rabbia cieca con ancora maggiore violenza o legittimando il terrore. Vorremmo piuttosto impegnarci — nota padre Pilario facendosi interprete del pensiero dei cattolici filippini — nel difficile compito di costruire una cultura che ascolta, che non tralascia, che non scarta o rifiuta nessuno, che accoglie le differenze. Una cultura dell’ascolto inclusivo spoglierà gli estremisti di ogni ragione. La pace è l’unica via per la pace».

I cattolici filippini ritengono che la nuova legge non porterà pace, armonia, ed esortano la popolazione a vigilare sulle azioni del governo, a denunciare qualsiasi forma di violazione dei diritti umani. «La legge — spiega padre Pilario — limita e comprime alcune norme e pratiche che proteggono i diritti umani fondamentali. Il dissenso legittimo o il diritto di critica, segni di una democrazia sana e funzionante, possono essere interpretati erroneamente come un incitamento a commettere un atto terroristico. Usare questa legge per mettere a tacere critici e detrattori darà a questo governo il via libera per promuovere inefficienza, inettitudine e abusi». Il sacerdote vincenziano è firmatario di un appello del clero di Manila che rileva «gravi preoccupazioni in base all’ordine morale, ai diritti fondamentali dell’uomo e agli insegnamenti del Vangelo».

di Paolo Affatato