Il vescovo di Kalookan sulle nuove periferie esistenziali nelle Filippine

Anche nei “mall” va annunciato il Vangelo

Il Victory central mall di Kalookan
08 luglio 2020

Kalookan. C’è giubilo e attesa nella comunità cattolica perché si avvicina nelle Filippine il momento in cui, il 10 luglio prossimo, la Chiesa — dopo la “quarantena di comunità” imposta dal governo per contenere il covid-19 — può riprendere a celebrare la messa cum populo, seppure in numero limitato. Grazie ai mass-media, la Chiesa è riuscita a mantenere il contatto con i fedeli, ma nulla si può dare per scontato, anche in un paese a maggioranza cattolica. Ci si chiede, infatti, tanto più in un tempo di distanziamento sociale che rischia di raffreddare le relazioni interpersonali, come facilitare l’incontro tra Cristo e l’umanità di oggi, presa dalle sfide della vita quotidiana, assediata dalla povertà o anche persa nel vortice del consumismo. Come fare e quali modalità scegliere per permettere che il Vangelo raggiunga e possa toccare i giovani, le famiglie, i professionisti, ma anche i poveri e gli oppressi? La Chiesa cattolica delle Filippine, riparte da un dato ritenuto non molto confortante, e appurato già ben prima dello scoppio dell’emergenza coronavirus: solo il 20 per cento di fedeli frequenta assiduamente la messa domenicale. Ci si interroga, allora, sui luoghi dove uomini e donne del terzo millennio vivono la propria socialità: così occorre che l’annuncio del Vangelo risuoni tra la gente frettolosa che si aggira per il lussuoso centro commerciale. O, d’altro canto, giunga negli slum dove migliaia di persone vivono una vita di stenti, disagi, indigenza, in condizioni subumane.

Il vescovo Pablo VIrgilio S. David, alla guida della diocesi di Kalookan, che abbraccia parte del territorio della vasta metropoli di Manila, spiega in un colloquio con «L’Osservatore Romano»: «La nostra azione pastorale oggi mira a contrastare la diffusione di un virus, pericoloso quanto il coronavirus, che sta infettando il popolo filippino: è il virus dell’indifferenza». «Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi, ma l’indifferenza dei buoni», rileva il vescovo, citando un profeta moderno come Martin Luther King. Il riferimento diretto all’odierno contesto delle Filippine è quello alla «guerra alla droga», la campagna lanciata nel 2016 dal presidente Rodrigo Duterte allo scopo di liberare la società dallo spaccio e dalla tossicodipendenza, ma condotta con metodi violenti, criticati in patria e a livello internazionale. «Molti sacerdoti, religiosi e laici delle nostre comunità — riferisce il vescovo — sono impegnati nell’accompagnamento delle vittime o per sensibilizzare per la difesa della dignità umana, della giustizia e dello stato di diritto». «L’approccio violento della campagna anti-droga, promosso dalle istituzioni — prosegue — sta erodendo il sistema democratico. Il governo, poi, cerca di imporre il silenzio ai dissidenti e a ogni voce critica». Monsignor David racconta con preoccupazione il quadro della situazione avendo vissuto sulla sua pelle l’infamia di una ingiusta accusa. Dopo un’indagine, il ministero della giustizia delle Filippine ha assolto dalle accuse quattro vescovi cattolici, tra i quali David, in un primo tempo denunciati e imputati per sedizione. L’accusa verso un gruppo di 36 tra attivisti, avvocati, religiosi, era «complottare per rovesciare il governo di Rodrigo Duterte», ma la mossa è stata descritta da molti osservatori come un’intimidazione per ridurre al silenzio leader sociali e religiosi critici verso il governo.

Il medesimo scenario potrebbe ripetersi in base alla nuova legge anti-terrorismo, approvata dal Parlamento e appena firmata dal presidente Rodrigo Duterte: il provvedimento conferisce nuovi speciali poteri all’esecutivo e, come ripetono da giorni attivisti, Chiese, ong, avvocati, il governo potrà ordinare l’arresto, il congelamento dei beni o la sorveglianza di individui e organizzazioni sospettati di essere terroristi, arrogandosi poteri che solo la magistratura dovrebbe avere, violando il principio della separazione di poteri, stabilito dalla Costituzione filippina.

La Chiesa tutta, riprende il vescovo «è oggi piuttosto preoccupata, perché troppo spesso si tollerano nella società violenza e ingiustizia». In tale quadro, rileva, «a farne le spese sono avvocati, difensori dei diritti umani, attivisti, membri di ong e anche preti, religiosi e laici cattolici che sono dalla parte dei poveri, degli oppressi, che difendono la dignità dei più vulnerabili». Per questo David mette in guardia dal «virus dell’indifferenza che ha già ucciso migliaia di persone».

Con lo stesso spirito della «prossimità», del voler «accompagnare e guidare le anime del popolo santo di Dio», il vescovo racconta della crescente presenza di cappelle e di sacerdoti che prestano sevizio pastorale nei grandi mall, i centri commerciali sempre più vasti e diffusi, che caratterizzano la grande Metro Manila, metropoli con oltre 13 milioni di abitanti. Si tratta dei luoghi dove, normalmente, soprattutto nel fine settimana, le famiglie filippine della classe media trascorrono intere giornate. Anche la domenica, libera da impegni lavorativi, diventa spesso il tempo opportuno per visitare nuovi esercizi commerciali sempre più moderni e con merce originale, passando di fatto l’intera giornata all’interno di queste “città nelle città”. Sono quelli che il sociologo francese Marc Augé definisce con un neologismo “non-luoghi”, perché destinati, in origine, solo al transito di esseri umani, con scopo puramente funzionale. Sono poi divenuti luoghi di aggregazione, dove la popolazione si ritrova secondo una logica, di stampo capitalista, che subordina le relazioni umane al consumo. I non-luoghi sono slegati da identità, storia e relazioni interpersonali. E sono un prodotto della “submodernità”, tipici della nostra epoca: partendo da questa analisi e da questa consapevolezza la Chiesa filippina ha attivato, nella riflessione legata alla nuova evangelizzazione, il seme di una presenza cattolica anche nei “non-luoghi”. Sono nate così le prime cappelle, dove sacerdoti svolgono servizio pastorale celebrando la messa, ascoltando i fedeli, o garantendo il sacramento della riconciliazione. «È Cristo che viene incontro all’uomo del nostro tempo, alle sue paure, necessità, esigenze, pronto ad abbracciarlo e dargli consolazione e salvezza», spiega il vescovo. E così al Victory central mall di Kalookan già da alcuni anni la gente frequenta la messa domenicale nella cappella dedicata a Nostra Signora del Rosario di Manaoag. «I fedeli chiedono un colloquio con i sacerdoti, per ricevere consigli spirituali o confidare le loro preoccupazioni. È il seme del Vangelo gettato nel terreno del cuore umano, che fiorisce nella vita dei battezzati che così possono riscoprire la presenza di Cristo nella propria vita», nota David.

Sono le “periferie esistenziali” che la Chiesa è chiamata a incontrare, portando la luce del Vangelo. Ma vi sono anche le “periferie materiali” nella mente e nel cuore del vescovo David: si riferisce, in particolare, agli slum, le vaste baraccopoli dove centinaia di migliaia di persone vivono nel degrado e in miseria assoluta. La città di Kalookan, che costituisce la parte settentrionale della Metro Manila — composta dall’insieme di 16 città — abbraccia numerosi slum. «Facendo nostro l’invito di Papa Francesco, abbiamo avvertito questa esigenza: non solo curare i fedeli che vengono in chiesa o aspettare che essi vengano nelle nostre parrocchie. Al contrario vogliamo uscire dalla nostra zona di confort e recarci in mezzo a loro, specialmente nelle aree dove vivono le famiglia più povere». Così sono nate vere e proprie “stazioni missionarie” all’interno delle baraccopoli, dove uno o più sacerdoti e consacrati stabiliscono la propria residenza, scegliendo di condividere la propria vita con la gente di quei quartieri. «Sono soprattutto i religiosi ad aver accolto l’invito, aprendo case negli slum. Ognuna di queste rappresenta una luce, un segno della presenza viva di Cristo». Questa esperienza si è rivelata tanto più preziosa in tempi di lockdown: i religiosi hanno svolto la funzione di speciali “antenne”, segnalando speciali bisogni e necessità dei residenti e facendosi canali di solidarietà concreta.

Inoltre, nota il vescovo, quella presenza stabile sta dando copiosi frutti di evangelizzazione, come si vede dalla richiesta di sacramenti, a partire dai battesimi, che i sacerdoti dispensano alle famiglie che vivono in quelle realtà. Testimonianza del Vangelo e condivisione di vita tra i poveri: il futuro della Chiesa nelle Filippine — che si appresta a vivere, nel 2021, i 500 anni dell’arrivo della fede nell’arcipelago — comincia da qui.

di Paolo Affatato