Nel romanzo «Il cuore è una selva» di Amadei

Potenza della creazione

Particolare dalla copertina
05 giugno 2020

Ispirato alla vita del pittore Ligabue


«Bianca gli dava del voi. Lo aveva chiamato artista. Forse, lo vedeva davvero per quello che era, un forestiero che viene da posti lontani, un’anima di sghembo che tenta di ricondursi all’esistenza di tutti e, per difetto, ripiega sul ventre della natura, e non parla la lingua del popolo, ma quelle delle bestie, dell’acqua e del fuoco». È ispirato alla vita del pittore e scultore Antonio Ligabue (1899-1965) nato a Zurigo e morto a Gualtieri nella bassa reggiana, l’ultimo romanzo di Novita Amadei, Il cuore è una selva (Vicenza, Neri Pozza 2020, pagine 266, euro 18). Ligabue non è mai citato, solo in chiusura una nota dell’autrice lo presenta, raccontando anche come è avvenuto il suo incontro con una figura che conosceva «più come personaggio popolare che come artista».

Il romanzo si apre la sera di Natale quando, durante la messa, viene trovato un vagabondo che non parla. Dalla sua apparizione in chiesa in quella notte di ghiaccio di fine anni Dieci, quest’uomo senza nome diventa subito un personaggio del paese, ribattezzato el mätt. Alcuni lo dileggiano e gli fanno scherzi crudeli, altri ne sono spaventati, ma per lo più la comunità nel suo insieme lo accetta. Si abitua ad averlo attorno, a vederlo dormire nelle loro stalle, camminare tra le loro case, vagare per la golena, mai fermo. Lavora con loro e per loro nelle fattorie. È bracciante, famiglio, operaio alla fornace... finché, improvvisamente, si rivela talentuosissimo artista.

È diviso in due parti il romanzo. Ma non tra quando el mätt è muto (o meglio creduto tale) e quando inizia a parlare (vent’anni dopo quella notte di Natale, sotto l’occupazione tedesca parlerà; e si scoprirà che, oltre al dialetto imparato al villaggio, conosce il tedesco: «Non vi piace il mio disegno?» chiede livido all’ufficiale nazista. «Furono quelle le prime parole che il paese sentì pronunciare dal matto»). No: il prima e il dopo sono segnati da quando il matto è anche artista. Perché la sua abilità è lì, esplode sotto gli occhi di tutti, incontrovertibile. Non smette di essere el mätt, ma — finalmente — quelle due parole non sono più in grado di definirlo. «Anche se il matto era un obbrobrio e non parlava, lo riconoscevano capace di un’arte che nessuno di loro padroneggiava». È il suo talento ciò che gli permette di avere un posto nel mondo.

Sarà in manicomio che il matto rivelerà la sua dote — appena gli tolgono la camicia di forza, raccoglie una scheggia di mattone e inizia a disegnare. La potenza di ciò che crea — si tratti di un disegno o di una scultura — arriva allo spettatore che lo incontra prima, molto prima della sua differenza. El mätt modella e dipinge su qualsiasi cosa trovi, con qualsiasi cosa trovi: tronchi, assi di legno, vecchie imposte; con i pennelli, con le dita, con le unghie. Dalle sue mani — mescolati all’argilla, alla terra e alla saliva — prendono vita paesaggi e scene di vita quotidiana; animali domestici e animali selvatici, in situazioni di quiete o, soprattutto, di tensione e di lotta; volti divisi fra dolore e euforia. Sono opere di una potenza straordinaria, visionari e insieme reali, che restituiscono un groviglio di ricordi, sensazioni e sogni mai espressi a parole. Tra l’incredulità e l’orgoglio della comunità, l’arte diventa la via per vivere. E se ancora el mätt non parla, è questa la sua voce, forte, immediata; una lingua di forme e di colore capace di comunicare sentimenti complessi e profondi.

Oltre all’irruenza dell’arte, sono tanti i temi che emergono dalle pagine di Amadei. Il senso della famiglia, della maternità e dell’amicizia; la responsabilità individuale rispetto ai grandi momenti della Storia, e alle scelte quotidiane — che non sono mai piccole, anche se ci piacerebbe pensarlo; la volubilità del sentire comune; il vero significato della parola fedeltà; e le sfaccettature di un sentimento come l’amore.

Soprattutto però Il cuore è una selva è un romanzo capace di rappresentare alla perfezione — senza manierismo, pietismo o eccesso — il labilissimo confine che ha retto anche la vita di Ligabue tra potenza dell’arte e fantasmi della mente.

di Silvia Gusmano