Facce belle della Chiesa

Perle antiche in scrigni nuovi

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24 giugno 2020

L’avventura di don Alberto Ravagnani, il prete «youtuber» che ha scelto i giovani


Questa rubrica fu pensata a suo tempo per dar voce e figura alle tante facce belle che nella Chiesa testimoniano la loro fede senza essere molto conosciute ai più. Un profilo che fino a due mesi fa ben si addiceva a don Alberto, ma che oggi è decisamente fuori luogo. Perché in soli due mesi, e malgrado la sua giovane età, don Alberto è diventato uno dei preti più conosciuti e popolari d’Italia. Quando un giorno si scriverà la storia di come i cristiani hanno vissuto i tre terribili mesi del lockdown, due immagini saranno preminenti: quella tragica e bellissima di Papa Francesco che da solo attraversa piazza San Pietro per chiamare alla preghiera, e, forse, quella della faccia un po’ buffa e stralunata di questo pretino milanese che in poche settimane ha sbancato la fiera del web, conquistando decine di migliaia di visioni, like e condivisioni.

La prima cosa che c’è da dire di don Alberto Ravagnani, 26 anni, sacerdote dell’arcidiocesi di Milano, è che è assolutamente uguale a come appare nei suoi video. Non c’è recitazione, tecnicalità, esagerazione: è esattamente lo stesso. Un fiume impetuoso di parole, profferite velocissime e senza esitazioni, che non ti concedono distrazione alcuna. È difficile perfino interromperlo per fargli una domanda. Ma si capisce mentre parla che questo incontenibile fiume di parole origina da una gioia e uno stupore che gli motivano l’intera esistenza. Ti fa subito pensare alla gioia e stupore della perla scoperta della pericope evangelica. Il primo a rimanere stupito di don Alberto è don Alberto stesso. Stupito, non certo per la notorietà raggiunta, ma per lo stravolgimento totale della sua vita che ha rappresentato il suo incontro con Gesù. Proviamo a farcelo raccontare.

«Sai, la mia fede non è nata in casa. Io sono nato a Milano ma i miei vengono dal Veneto e non è che fossero dei gran praticanti. La mia fede nasce in una parola che per me ha un sapore magico, che è la cifra della mia vita: l’oratorio. Ho cominciato ad andarci da bambino, poi in oratorio sono cresciuto e ho fatto le mie prime amicizie in oratorio; in oratorio ho scoperto cosa significhi veramente incontrare Gesù, vi sono diventato formatore e ora da prete ci vivo il grosso della mia vocazione. L’oratorio è il mio ambiente naturale, io sono dentro l’oratorio e l’oratorio è dentro di me. Ero un ragazzo come tanti — prosegue don Alberto —, un po’ introverso. Ancora oggi, sebbene abbia scoperto di avere questo aspetto comunicativo così spiccato, nella relazione individuale, nel “tu-a-tu”, non ci crederai, sono abbastanza timido. Ho fatto il liceo classico. Ero molto bravo a scuola. Non propriamente un secchione, mi piaceva proprio studiare. Mi è sempre piaciuto, la curiosità intellettuale mi ha sempre divorato. Dai classici poi ho imparato tanto. Insomma, studio, introversione e videogiochi: un nerd perfetto», sottolinea ridendo.

«Non avevo molti amici — confida — nel senso vero, intimo, del termine. C’era sempre in me un alone di malinconia, se non proprio di tristezza. Non mi sentivo amato. Almeno non quanto avrei voluto. Anche in famiglia. Non potevo lamentare certo nulla dei miei genitori, ma rimaneva in me qualcosa di incompiuto, di insoddisfacente sul piano affettivo. Questo almeno fino a quando, a 16 anni, partecipai ad un campo vacanze con i ragazzi dell’oratorio. Fu la prima vera svolta della mia vita. Niente di straordinario, ma per la prima volta sperimentai da un lato la consapevolezza dei miei limiti e dall’altro l’afflato amorevole degli amici. L’amicizia, quella vera: “Vi chiamo amici, non servi… perché vi ho rivelato tutto…”. Lavorai molto su me stesso dopo quella vacanza, feci lo psicologo di me stesso. E questo permise il secondo evento straordinario: l’incontro con Dio. Sentirsi finalmente amato mi consentì di aprire finalmente il cuore e lasciarvi entrare Dio».

A questo punto il racconto si fa ancora più appassionato e le parole tradiscono un’emozione «Da quel momento tutto cambiò. Era stato veramente un incontro con una persona, non con un’idea. Una persona che mi amava, come nessuno mi aveva prima amato. Da allora Dio iniziò a pervadere ogni istante della mia vita, ogni cosa che facevo lui era lì accanto a me, in dialogo con me. Non pensavo ad altro. Mi sentivo un’altra persona, leggero, contento. E pieno di gratitudine. Sì la vocazione è proprio questo: un incontro. Che non scegliamo, ci capita. E a noi sta solo di scegliere se accettarlo o meno quest’incontro. Ma la nostra è sempre e solo una risposta».

Sì, tanta felicità, ma al tempo stesso anche tanta inquietudine «E ora, pensavo, dopo questo sconvolgimento, cosa debbo fare della mia vita? Per giunta ci si era messo pure il fatto che mi ero preso una bella cotta per una ragazza, molto carina, intelligente e un po’ più grande di me. Poi una notte, che non riuscivo a dormire, mi balenò all’improvviso l’idea: “E se mi faccio prete”? Mi sembrava al tempo stesso assurda e affascinante. Ma più la scacciavo e più tornava. La mattina dopo ne parlai subito con il mio don. Il quale, saggiamente, usò la tecnica di verifica della dissuasione. Cominciai a pregarci sopra, e pian piano ogni remora cadde, sia a me che al mio don. Prese il via una stagione di vita tra le più felici: la scoperta di questo nuovo orizzonte mi rendeva veramente leggero e contento. Camminavo per strada cantando e fischiettando. Scrivevo poesie. Entrai nel seminario diocesano di Venegono. Un tempo bellissimo: non solo formazione, ma amicizie vere e gusto della preghiera. Ci stavo proprio bene lì. Lo sai che mi manca?...».

Poi l’ordinazione un paio di anni fa e l’assegnazione come viceparroco ad occuparsi di giovani. Il ritorno all’oratorio, «il mio humus. In seminario avevo fatto, così per scherzo, qualche video. I. miei compagni mi spinsero a pubblicarli. E così è cominciata quest’avventura che ha dell’incredibile: oggi solo su YouTube ci sono 64 mila iscritti al mio canale. Il grosso è venuto con l’epidemia. Quando abbiamo chiuso l’oratorio io pensavo che sarebbe durato solo un paio di settimane, per cui ho creato qualche video di consigli ai ragazzi su come non sprecare il tempo mentre si era costretti a casa. Uno di questi video, intitolato “A cosa serve pregare?”, è diventato subito virale e da lì è nato tutto il resto. Io sono anche insegnante di religione in un liceo scientifico, un lavoro, come ti dicevo, che adoro, e ora con la didattica a distanza i miei studenti sono molto orgogliosi di essere i primi destinatari dei video del “prete youtuber”».

Ci sono anche reazioni che lo fanno sorridere. «C’è chi sostiene che in realtà io non sia un prete ma un attore, oppure che dietro di me ci sia qualcuno che scrive i testi. Tu ora parlando con me ne sei testimone, io sono veramente così, è tutto naturale. Ci metto la faccia in questa avventura, è un terreno di evangelizzazione che funziona. Io cerco di mettermi nei panni dei ragazzi che mi ascoltano e di immaginare le loro domande, che sono semplici ed essenziali, a cui provo a rispondere sulla stessa linea di linguaggio, con la stessa essenzialità. Perché la Chiesa ci detta tutte queste regole? Ma Gesù quanto era uomo e quanto Dio? Come si trova una vocazione nella vita? Scienza e fede, chi prevale? Sei felice? Io conosco le loro dodomande, perché sono state le mie. E le risposte sono quelle che mi hanno portato qui». Te la faccio io allora una domanda. «Sei ancora così giovane: che ti piacerebbe fare da grande don Alberto?». «Da grande?», accoglie la domanda con una gran risata. «Guarda dovunque mi porterà il buon Dio andrà bene, perché so che mi ama e vuole solo il mio bene. Per ora non cambierei una virgola: bellissimo essere prete, insegnare religione, vivere l’oratorio. Come ti dicevo all’inizio, non c’è nulla di straordinario in questa buffa notorietà che mi trovo immeritatamente a vivere, io non dico niente di nuovo. Dico solo in maniera nuova le cose di sempre: il Vangelo».

di Roberto Cetera