Per ritrovare credibilità il vecchio continente deve dedicarsi a servire la persona umana nella sua dimensione culturale, etica e spirituale

L’Europa e la grande sfida della solidarietà

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03 giugno 2020

Settanta anni dopo il ben noto appello di Robert Schuman del 9 maggio 1950, gli europei si trovano improvvisamente a confrontarsi con domande essenziali sulla natura stessa dell’Unione europea.

Le istituzioni — ce l’insegna la storia — come gli uomini, hanno bisogno periodicamente di interrogarsi sul loro modo di fare, di lavorare, e soprattutto sulla coerenza tra gli obiettivi assegnati e l’opera finora svolta. La durata appare allora come uno dei criteri per valutare non soltanto la qualità del lavoro compiuto, ma anche e soprattutto per verificare se, lungo gli anni, si sono mantenuti gli scopi prefissati alla istituzione e se il necessario adattamento ai cambiamenti epocali non ha provocato uno slittamento dei fini e un’alterazione della natura stessa della istituzione.

Gli eventi che negli anni 1989-1990 hanno segnato la fine dell’impero sovietico, non soltanto hanno modificato profondamente il quadro politico generale, mettendo fine alla cosiddetta “guerra fredda”, ma ancora hanno generato dei profondi mutamenti nelle mentalità e nelle culture.

La Comunità europea si è costituita a prezzo di grandi sacrifici, compresa una rinuncia parziale alla sovranità nazionale nella gestione del carbone e dell’acciaio, per raggiungere un obiettivo di grande portata: creare uno spazio europeo di pace e di cooperazione fondato sulla condivisione di beni materiali essenziali per l’industria bellica e così trasformati in strumenti per sugellare la pace e la riconciliazione tra popoli profondamente segnati dagli orrori della guerra. Questa pace tanto desiderata nel secondo dopoguerra non si è costruita, secondo le parole di Schuman, se non «con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano».

Già nel 1950, si prevedeva un’apertura, un’accoglienza per gli Stati desiderosi di unirsi al gruppo fondatore della Comunità europea. Ma un principio venne, fin dall’inizio, stabilito chiaramente: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».

Nel corso degli ultimi settanta anni, l’Unione europea ha concepito e realizzato molti programmi che hanno contribuito certamente a potenziare le relazioni tra gli Stati membri ed essa è perfettamente riuscita a creare uno spazio europeo di pace e libertà, un successo di fronte all’allora blocco sovietico.

L’Unione si è costruita grazie a una solidarietà nel campo economico e industriale, e i suoi artefici hanno sempre inteso la sua componente materiale come un mezzo al servizio di un ideale. Da una parte, scriveva Schuman, «la solidarietà di produzione […] farà sì che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile».

Così, lungo gli anni, l’Unione europea ha conosciuto un periodo di grande sviluppo, grazie in gran parte a una politica comune basata sulla condivisione di risorse che consentono di promuovere nuovi investimenti, in particolare nella ricerca e nelle nuove tecnologie, e di venire anche incontro a varie categorie sociali in difficoltà in seguito all’evoluzione dei modi di vivere e dei mercati. Questa azione, che si rivela essenziale, è possibile grazie all’uso di sovvenzioni comunitarie alimentate dalla partecipazione finanziaria di tutti gli Stati membri.

Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’allargamento dell’Unione fu anche uno strumento politico che permise a numerosi Stati già compresi nell’impero sovietico o sotto la sua diretta influenza, di scegliere l’Unione europea, garante di libertà e di prosperità. Pace e riconciliazione si sono realizzate anche grazie a questi «allargamenti» dell’Unione, contribuendo alla stabilizzazione delle regioni alla periferia degli Stati membri da molto tempo, dalle Repubbliche Baltiche ai Balcani.

Invece, si deve riconoscere che più l’Unione si è estesa territorialmente, più si è posta in vari Stati la questione della propria identità. Ma, a nostro avviso, più inquietante è il fatto che dopo gli accordi di Maastricht, il progetto Europa ha subito uno spostamento decisivo: l’Europa è diventata sempre più una entità dotata di propria esistenza, di una legittimità superiore a tutte le altre e dotata di meccanismi istituzionali in grado di ricomporre tutti gli aspetti della vita dei cittadini europei. Come capita spesso alle istituzioni, la struttura amministrativa e legislativa dell’Unione è apparsa ai cittadini sempre più lontana… come provano l’astensione che caratterizza l’elezione dei deputati al Parlamento europeo, o i voti negativi di Francia e Paesi Bassi in occasione del referendum sulla Costituzione dell’Unione europea. Gli eventi di questi ultimi anni hanno generato talvolta dei giudizi molto severi nei confronti dell’Unione considerata un “nano politico”, mentre impone la sua autorità a Stati, governi e cittadini sul piano economico e amministrativo. Certo, la strada è ancora lunga, per giungere ad una politica internazionale europea.

Ora, lo scombussolamento generale provocato dalla pandemia ha suscitato non pochi movimenti di solidarietà tra Stati talvolta molto lontani, geograficamente e ideologicamente, e adesso, dopo più di due mesi che hanno messo in ginocchio non poche economie dei Paesi europei, si presenta la grande sfida della solidarietà. Ancora una volta, torna questa convinzione di Robert Schuman, ovvero creare «anzitutto una solidarietà di fatto». Alcune recenti iniziative di Stati europei possono offrire una nuova occasione di rendere più «visibili» gli obiettivi dell’Unione europea.

Ne siamo convinti, costruire l’Europa significa anzitutto mettere in pratica un progetto spirituale di fratellanza. Se l’Europa si dedica a servire la persona umana, nella sua dimensione culturale, etica e spirituale, i tre pilastri della politica europea — economico, politico e umano — ritroveranno il loro indispensabile significato e l’Europa la sua credibilità.

di Bernard Ardura
Pontificio Comitato di scienze storiche