Il Villaggio dell’Arca in Kazakhstan

All’altezza del nostro essere umani

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23 giugno 2020

Un bambino rifiutato e abbandonato, un bambino sofferente nel corpo o nello spirito, è figlio di tutti. E quando donne e uomini decidono di allearsi e lavorare insieme per curare le sue ferite e aiutarlo a costruire un futuro buono, lì si compie un’opera indubitabilmente all’altezza del nostro essere “umani”. Lì si stringono quei legami speciali che tengono in piedi il mondo. Accade ogni giorno, in molti luoghi della terra: anche in Kazakhstan, vastissimo Paese abitato da 17 milioni di persone appartenenti a 130 nazionalità diverse nel quale i musulmani costituiscono il 70-75 per cento della popolazione, gli ortodossi il 20-25 per cento, mentre i cattolici sono circa 50.000.

Qui, nella cittadina di Talgar, sorge il Villaggio dell’Arca, fondato e diretto da padre Guido Trezzani, 64 anni, dal 2019 anche direttore della Caritas kazaka. Nel 1997, quando viveva ad Almaty (la città più popolosa del Paese), iniziò a lavorare con i volontari che prestavano servizio negli orfanotrofi locali.

Nel 2000, insieme a un piccolo gruppo di volontari e grazie all’aiuto di amici italiani, decise di fondare nelle vicinanze di Almaty, a Talgar, una casa famiglia per dare accoglienza a bambini e ragazzi orfani, disabili o provenienti da famiglie che attraversavano momenti di difficoltà. La casa famiglia, situata in una colonia estiva del tempo sovietico, nel corso degli anni è stata ampliata sempre più sino a diventare il Villaggio dell’Arca che ospita mediamente sessanta bambini e ragazzi ed è composto da abitazioni, scuola, mensa, laboratori di artigianato, terreni coltivati, centro medico e riabilitativo.

Qui, insieme a padre Guido, lavorano stabilmente trenta persone (anche musulmane) cui si aggiungono numerosi volontari locali che nel corso negli anni sono andati aumentando.

«Il Villaggio — racconta padre Guido — è nato per rispondere al bisogno di famiglia e di affetti solidi di giovani in molti modi provati dalla vita. La nostra proposta educativa, diversa da ogni altra presente in Kazakhstan, si fonda su due capisaldi. Il primo è la centralità della persona: ogni bambino è unico e prezioso, ed è seguito, amato e accudito come un figlio. Ci impegniamo affinché possa sperimentare l’affetto incondizionato, il calore e la sicurezza di una famiglia».

Il secondo caposaldo è la dimensione del villaggio: «Desideriamo offrire a ogni giovane un ampio ventaglio di opportunità in modo che possa sviluppare i propri talenti e trovare la propria strada: per questo abbiamo voluto costruire un’alleanza educativa tra adulti generosi e disponibili, aperta al contributo di tutti. Io, ad esempio, do ai miei ragazzi lezioni di chitarra ma se mi accorgo che uno di loro è particolarmente dotato lo indirizzo subito a un maestro di musica più qualificato di me, che è pronto a impegnarsi. Questa alleanza tra adulti per il bene delle giovani generazioni va sempre alimentata e ampliata: è fondamentale, decisiva sul piano educativo. Papa Francesco lo ha saggiamente sottolineato quando ha promosso l’evento mondiale (rimandato a causa della pandemia) intitolato “Ricostruire il patto educativo globale”. Quell’alleanza di cui lui parla è la medesima che ispira la nostra opera».

I giovani accuditi da padre Guido e dai suoi collaboratori frequentano gli istituti scolatici statali della zona mentre nella scuola del Villaggio possono seguire corsi per approfondire alcune materie (ad esempio, lingue, informatica, musica). Nel Villaggio è stato avviato un progetto agricolo e sono state aperte una serra, una sartoria, una falegnameria, tutte attività nelle quali i ragazzi, anche quelli con disabilità, possono imparare un mestiere e lavorare. I ragazzi che invece desiderano frequentare corsi esterni o avviare una attività in proprio sono accompagnati nel percorso e sostenuti economicamente.

In Kazakhstan, purtroppo, la disabilità è spesso vista come una vergogna o una maledizione, sottolinea padre Guido. La società non è pronta ad accogliere serenamente i disabili, ai quali sono ancora preclusi le scuole statali e il mondo del lavoro. Nel Villaggio i bambini e i ragazzi disabili frequentano la scuola interna seguendo un programma di attività proporzionato alle capacità di ciascuno. Hanno a disposizione un centro riabilitativo (aperto anche alle persone disabili che vivono nella zona) e possono lavorare insieme agli altri giovani.

Padre Guido, proprio per offrire a tutti i ragazzi ulteriori strade per edificare un futuro buono, sta progettando nuove iniziative fra le quali una fattoria con gli animali, nuovi laboratori di artigianato e corsi di tecnologia: «Vogliamo accompagnare tutti, siamo una grande famiglia attenta a ogni figlio: e questo è un legame invincibile. Molti ragazzi che hanno vissuto qui sono ormai grandi, hanno messo su casa e famiglia: spesso mi vengono a trovare e mi commuovo sempre molto quando sento che trasmettono ai loro figli (che mi chiamano “nonno”) insegnamenti che hanno ricevuto qui».

È la catena delle generazioni nella quale gli esseri umani si impegnano a far passare le cose migliori. È la catena nella quale il Figlio è entrato e alla quale si è irrevocabilmente legato.

di Cristina Uguccioni