In copertina c’è un’opera di Léo Caillard, della serie Hipsters in Stone, ovvero hipster ante litteram fissati nella pietra: Apollo con gli occhiali da sole che si sta facendo un selfie, ma anche Venere in maglietta che si riposa dopo un allenamento, curvando le bianche braccia e mostrando il suo leggendario, enigmatico sorriso. Leggendo il (bellissimo) libro di Silvia Stucchi Come il latino ci salva la vita (Milano, Edizioni Ares, 2020, pagine 312, euro 14,80; disponibile anche in e-book) viene in mente il titolo di un film di Wim Wenders, Faraway so close; così lontano e così vicino, quel mondo che in tanti abbiamo imparato a conoscere sui banchi di scuola, filtrato dalle griglie di una grammatica apparentemente ostile, un mondo fatto di brani da tradurre e versi da scandire secondo complicate regole metriche durante l’interrogazione alla lavagna. Un mondo che abbiamo imparato ad amare da subito, nonostante la fatica dello studio — il latino, a volte, era difficile anche per i latini, chiosa l’autrice, smontando tanta facile retorica didattica e offrendo un’ampia, confortante casistica di antichi studenti riluttanti — oppure abbiamo imparato ad odiare definitivamente, se le storie che ci venivano incontro sotto forma di compiti a casa restavano assurdi, inutili enigmi da decifrare. Così lontano e così vicino, questo idioma duro, gutturale e sbrigativo che per secoli è stato la lingua franca dell’Europa. Si dice che studiare latino sviluppi la logica, oltre che la memoria. Tutto vero. Non solo; dato che, come dice il neuroscienziato Semir Zeki, il cervello non distingue tra cultura umanistica e scientifica, i classici aiutano ad allargare lo sguardo e ad esplorare sentieri mai battuti in tutte le branche del conoscere, scienza e tecnica comprese. Come ha scritto qualche tempo fa — in una lettera che è diventata virale — anche il fisico Guido Tonelli, tra gli scopritori del Bosone di Higgs. Ma — e qui la provocazione diventa affilata — se il latino serve solo per allenare la mente, perché non fare le parole crociate? In realtà, chiosa l’autrice, è interessante il contenuto, oltre che il contenente. Nel suo libro, Silvia Stucchi ci accompagna a scoprire i protagonisti di una commedia umana ricchissima, infinitamente varia, aliena e familiare al tempo stesso: palazzinari, opinionisti, politici falliti (anche quello di Cicerone, in fondo, è stato un fallimento politico, benché illustre) neo-ricchi in cerca di visibilità, scrittori snob che disprezzano lo sport (come Plinio il giovane) vedovi inconsolabili (sorprendenti le pagine dedicate alle epigrafi funerarie). E studenti insofferenti della disciplina; tra cui, inaspettatamente, troviamo anche due vip come Orazio e Agostino, il futuro vescovo di Ippona. Insomma, visto da vicino il latino «non è uno scoglio, ma un’ancora di salvezza».
di Silvia Guidi