· Città del Vaticano ·

Il Centro Padre Nostro a Palermo e l’attenzione ai detenuti

Porta aperta alla rinascita

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26 maggio 2020

Mai come negli ultimi due mesi abbiamo sentito forte l’esigenza di “restare a casa”: nella situazione di emergenza, dovuta alla pandemia che ha così duramente colpito le nostre comunità, l’invito, la disposizione, l’impegno a “restare a casa” puntano, inevitabilmente, i riflettori su piaghe e contraddizioni sociali, già note, palesemente stridenti con la necessità di dover stare nelle proprie abitazioni. Vale per i senzatetto, che un’abitazione non l’hanno. Vale per tanti detenuti, costretti, a causa del sovraffollamento carcerario, a condividere spazi in condizioni ai limiti della sopravvivenza. Contraddizioni queste che la pandemia ha fatto riesplodere in tutto il mondo, riportando alla luce un’altra emergenza, da tempo inevasa, legata a quale casa possano fare ritorno le tante persone detenute con pena non superiore ai diciotto mesi, quando, oltre a non disporre di un domicilio effettivo, vivono gravi situazioni di indigenza economica, socio-familiare e culturale.

I dati forniti dal ministero della Giustizia, aggiornati allo scorso marzo, parlano di una popolazione carceraria di 61.230 persone, di cui 19.889 stranieri, 2.072 donne, quasi un terzo in attesa di giudizio. A fronte di tali numeri e in considerazione di una capienza regolamentare pari a 50.931 posti, emerge l’ampiezza del fenomeno, non solo quantitativamente, ma in quanto indicativo del degrado “ambientale” di tante realtà “di frontiera” coinvolte. In una delle realtà più esposte — il quartiere di Brancaccio a Palermo — opera da ventisette anni il Centro Padre Nostro, fondato dal beato Giuseppe Puglisi, la cui missione ruota proprio attorno al mondo penitenziario, con particolare attenzione ai temi del compimento della pena e del recupero e reinserimento sociale dei soggetti che hanno commesso dei reati e scontato la detenzione. Qui prendersi cura e farsi carico di chi ha un trascorso particolarmente difficile è il compito ereditato direttamente da padre Puglisi, il cui messaggio è stato lasciato scritto nella lettera ai detenuti del carcere Ucciardone di Palermo, assunto come linea programmatica tesa a indirizzarne l’operato del centro.

«Abbiamo voluto esprimere la nostra esperienza trentennale nel recupero dei detenuti, oltre che concretamente nell’azione quotidiana, da un punto di vista normativo, presentando al ministero della Giustizia il decreto legge “Certezza del recupero”, teso ad accendere i riflettori sul fondamentale aspetto del recupero degli ex detenuti, spesso taciuto rispetto al tema della certezza della pena, che è l’accezione più comune in relazione alla questione delle carceri», sottolinea Maurizio Artale, responsabile del Centro Padre Nostro. Tali dimensioni trovano accoglienza in veri e propri spazi in cui si coniuga evangelizzazione, sostegno e promozione della persona. Su questi presupposti da oltre due anni si regge l’opera della Casa del figliol prodigo, contrassegnata dal simbolo del Giubileo della misericordia e dislocata al piano terra del centro, riservato al servizio di accoglienza e alle attività dei detenuti senza dimora, che già possono usufruire dei permessi premio. «Pur essendo uno spazio limitato, destinato al più all’ospitalità di due detenuti, intendiamo rispondere metaforicamente alla parabola del figliol prodigo di ritorno alla casa del Padre, trasmettendo, con un piccolo gesto, il nostro spirito di vicinanza e condivisione», racconta Artale.

Ispirandosi a questa esperienza, proprio sull’immagine del dipinto di Rembrandt raffigurante il ritorno del figliol prodigo alla casa delle origini, il Centro di accoglienza Padre Nostro, insieme all’arcidiocesi di Palermo apre, oggi, in questa difficile fase, le porte della seconda Casa del figliol prodigo: un immobile di proprietà della stessa diocesi, nel cuore di un’altra periferia esistenziale della città di Palermo. Qui, il centro e la diocesi, insieme alla Fondazione Giovanni Paolo II e al Circolo Acli padre Pino Puglisi, accoglieranno dieci persone senza fissa dimora in misura alternativa. Un progetto, già pianificato nell’ottica della missione, ma che trova pieno compimento sotto la spinta della straordinarietà degli eventi: «In questo momento, contribuire a ridurre il numero di persone ristrette in carcere rappresenta un atto di cura e salvaguardia della dignità dell’essere umano», sottolinea Artale. In seguito alle esigenze dovute all’emergenza sanitaria, i senza dimora ai quali il centro, sempre a fianco della diocesi, della Fondazione Giovanni Paolo II e del Circolo Acli padre Pino Puglisi, offriranno ospitalità, saranno individuati dall’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna per la Sicilia, e, a costoro, verrà garantito non soltanto un alloggio ma anche un Progetto di inclusione sociale. «La Casa del figliol prodigo 2 non è solo una struttura abitativa, un bene immobile che funge come alloggio: vogliamo piuttosto creare l’occasione per un cammino di rinascita», racconta il direttore, descrivendo come è stato organizzato il percorso di recupero: «Per costruire con gli ospiti un vero e proprio progetto di vita, abbiamo elaborato specifici programmi educativi di concerto con assistenti sociali, psicologi, educatori, tutor, mediatori culturali, consulenti legali, nonché in stretta sinergia con il personale degli istituti penitenziari e degli Uffici di esecuzione penale esterna». In tale ambito sono previste molteplici attività, pensate in funzione della specifica situazione del singolo individuo: azioni di accompagnamento per la presentazione e fruizione delle misure a sostegno del reddito, come di accompagnamento educativo e sociale alla vita autonoma durante la residenzialità.

Gli ospiti sono pienamente coinvolti nella scelta dei servizi di cui usufruire, siano essi inerenti a educazione, istruzione e formazione professionale, siano essi volti all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro, compatibilmente con le disposizioni governative dovute all’emergenza sanitaria e sociale data dall’epidemia di codiv-19. La strategia d’intervento poggia sul sostegno di una fitta rete che, negli anni, il centro, e gli enti che collaborano a questo progetto, hanno tessuto e consolidato formalmente (attraverso accordi, convenzioni, protocolli), a livello locale e nazionale: ciò nella consapevolezza che non sia possibile una vera presa in carico dei soggetti in esecuzione penale se non attraverso un’integrazione tra istituzioni, soggetti privati e le migliori risorse della comunità.

Non si tratta, dunque, solo di una risposta all’emergenza del momento, e neppure solo dell’ospitalità garantita a dieci persone senza fissa dimora in regime di detenzione domiciliare: «Vogliamo dare una buona notizia di misericordia, che racconta la parabola di una porta che si apre alla vita, alla rinascita, per ricordare a tutti noi che il Padre ama ogni suo figlio e ognuno ha il proprio unico posto alla sua mensa», conclude Artale.

di Silvia Camisasca