La Giornata della libertà di stampa a 40 anni dalla morte di Tobagi

L’informazione va ancora difesa

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02 maggio 2020

Se Montesquieu vivesse in questo ventunesimo secolo, la sua visione della separazione dei poteri, come base per l’equilibrio e il corretto funzionamento di una comunità, si arricchirebbe di un quarto pilastro, il potere di informare: questo, infatti, insieme all’educazione, rappresenta la condizione di qualsiasi forma di convivenza civile, rispettosa del valore umano in quanto tale. Lo strumento su cui possiamo contare per decifrare la realtà che ci circonda e disporre della piena cittadinanza è, oggi più che mai, l’educazione, perché garantisce la chiave di accesso alle informazioni del mondo e plasma la coscienza critica.

Non a caso, dal 1993, il 3 maggio ricorre la Giornata mondiale della libertà di stampa, con cui le Nazioni Unite ricordano l’importanza del rispetto della libertà di parola — sancita dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 — del pluralismo e dell’indipendenza dei media, ribaditi poi nella Dichiarazione di Windhoek del 1991. L’informazione è il carburante che alimenta la conoscenza e le passioni, ispira orientamenti e scelte, matura decisioni e prese di posizione.

Anche in un assetto formalmente democratico, laddove non sia garantita la facoltà di informarsi, non ci si può definire davvero liberi. «Le scuole di giornalismo sono consapevoli del loro ruolo fondamentale, non solo per costruire la professionalità delle nuove leve, ma per creare le condizioni per un sistema veramente libero e vigile», afferma Luca Solari, Direttore della Scuola di giornalismo Walter Tobagi e professore ordinario presso l’Università di Milano. «In un contesto in cui l’assetto democratico è dato per scontato, tanto da averlo ritualizzato, non vi può essere piena libertà della persona e della collettività, senza libertà di stampa».

Come, dunque, non ridurre alla celebrazione di un rito formale anche il 3 maggio, ma richiamarci all’importanza del diritto all’informazione, soprattutto di fronte ad un’offerta mediatica ossessivamente differenziata tra canali televisivi, riviste, giornali e web? «Tutti si orientano a cogliere articolazioni sempre più focalizzate di quelli che ormai chiamiamo utenti: costoro, quando le informazioni sono veicolate attraverso la tecnologia, sono poi oggetto di sofisticate analisi di gradimento utili, a loro volta, ad orientare sempre più la forma e il contenuto di quello che comunichiamo» puntualizza Solari, sottolineando che, in particolare, i social network «alimentano un flusso di informazioni senza pari nella civiltà moderna, con il rischio di trasformare la notizia in un prodotto soggetto al gradimento del lettore».

Ha senso, allora, parlare di libertà di stampa, quando si ha la facoltà di scelta tra un’infinità di proposte? O forse dobbiamo limitarci a riflettere sulla libertà di stampa come valore universale, assumendo che il problema sia altrove? È il nostro un esercizio formale il cui potere simbolico si attenua nel tempo? «Dirigendo una Scuola di giornalismo che porta il nome di Walter Tobagi, non mi sottraggo alla responsabilità di trasmettere la testimonianza del suo nome. In Italia, tradizionalmente i nomi degli istituti scolastici ricordano i grandi personaggi del passato, ma quasi mai raccogliamo l’attualità del loro messaggio, rendendoli talvolta muti» riflette il giornalista

. Come conservare — nello scorrere del tempo — l’insegnamento di un giornalista come Walter Tobagi e porre alle radici della nostra identità il valore del suo esempio, alla vigilia del quarantesimo anniversario dell’assassinio che lo ha strappato all’affetto della famiglia e di tutta la società civile? Tobagi — il cui nome allunga la tristissima lista di martiri sacrificati in difesa della democrazia — ricorda a tutti coloro che operano nell’ambito dell’informazione che la stagione dell’impegno per la libertà e la giustizia non è finita, perché, pur rinnovandosi modalità e attori, occorre sempre vigilare e coltivare una coscienza civica, a presidio dei valori alla base del bene comune. In particolare, il 28 maggio — a 40 anni esatti dall’omicidio del giornalista — era stato pensato un convegno per riflettere, ripercorrendo la vicenda di quell’inaccettabile sacrificio, sull’importanza cruciale del giornalismo di inchiesta per una società democratica in qualsiasi angolo del pianeta. «Ovunque, nel mondo, convivono due grandi rischi per la libertà di stampa: uno evidente e sanguinoso ed uno subdolo, ma ugualmente pericoloso» argomenta Solari. «Ancora in troppi paesi fare informazione libera e critica equivale a mettere a repentaglio la vita, propria e dei famigliari, o a condurre un’esistenza clandestina. D’altra parte, però, in altrettante realtà, il mondo del giornalismo è asservito alle leggi del mercato o al potere della proprietà, come, non di rado, è strumentalizzato a fini elettorali o politici» conclude il giornalista.

Ad inquadrare in un contesto più generale queste parole, aiutano i dati del World Press Freedom Index, che raggruppa le rilevazioni ufficiali in rapporto al grado di pluralismo, trasparenza, censura, indipendenza e normativa dell’assetto informativo: a fronte di un sostanziale mantenimento dello status quo del 2019, negli ultimi mesi si evidenzia un percorso di costante deterioramento, in linea con la tendenza in atto da quando è stato costituito l’organismo di valutazione. Preoccupante è segnalato l’arretramento di aree storicamente caratterizzate dalle condizioni migliori, come Europa e Stati Uniti, anche se l’Italia, al 49° posto, rispetto allo scorso anno recupera due posizioni.

«Il tema della libertà di stampa, oggi, nel 2020, è di grande attualità, anche in Italia: non lo dico in qualità di direttore della scuola di giornalismo, ma da cittadino». È, infatti, importante la netta distinzione tra libertà di stampa e facoltà di scelta delle notizie abbondantemente fruibili, per evitare il corto circuito delle echo chambers, in cui l’utente finale assorbe quel che più viene proposto e non quel che corrisponde a verità: il che alimenta un loop mediatico sicuramente profittevole, ma socialmente vizioso, in cui spesso le posizioni più radicali, come le analisi meno ponderate, riscuotono un maggiore e assai fedele seguito. «Certi meccanismi tipicamente connaturati ai social network, che spesso stigmatizziamo, hanno abbracciato tutto il tessuto dell’informazione» sottolinea Solari. «Anche perché non sfugge che non esiste paese senza stampa, il che significa che, laddove non sussistono condizioni di trasparenza e autonomia, coloro che si dicono giornalisti sostengono un contesto non libero: in questo modo, nei paesi nei quali il rischio è l’abuso, sono complici della soppressione delle libertà altrui, in quelli nei quali è a rischio la libertà di inchiesta, sono complici di un atto illiberale, meno cruento ma non meno censurabile» conclude il docente. Certo, il giornalismo libero — ispirandosi alla figura di Walter Tobagi, per distinguere ciò che è vero da ciò che è vilipendio, offesa, attacco indiscriminato o manipolazione — può attingere una grande lezione umana e professionale. Per sostenere le voci più deboli e schierarsi a fianco degli ultimi, denunciando le ingiustizie.

di Silvia Camisasca