L’esperienza con i minori con gravi disabilità dell’Istituto Serafico di Assisi

Imparare a consegnarsi all’altro

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04 maggio 2020

«Questa emergenza ci deve far guardare ancora di più ai soggetti fragili, perché non c’è futuro se non ripartiamo dalla cura delle persone. Noi non vorremmo essere altrove, ma solo qui, accanto a questi disabili gravi e gravissimi come in effetti stiamo facendo da oltre due mesi. Ma non è importante solo “starci sempre”, ma “esserci sempre”. Il 28 marzo scorso avremmo dovuto incontrare il Pontefice proprio qui ad Assisi, per l’evento Economy of Francesco. Purtroppo, non è stato più possibile. Ma, anche in base all’esperienza che stiamo maturando da queste settimane difficili, ai giovani economisti avremmo voluto dire che l’importante è imparare a consegnarsi con fiducia all’altro».

Parla con il cuore in mano Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, il centro sanitario per la cura, la diagnosi e la riabilitazione di bambini e ragazzi con disabilità plurima grave e gravissima. In pratica, una seconda casa per gli ospiti, ancor di più da quando è esplosa l’emergenza coronavirus. «Attualmente, abbiamo 80 ospiti residenti e da subito, alle prime avvisaglie della pandemia, abbiamo avvisato le famiglie, ricevendone grande fiducia e una responsabilità enorme, perché bambini e ragazzi sono rimasti tutti qua. E questo, pur nella difficoltà del momento, è molto bello. Il contatto con le famiglie c’è sempre, ad esempio anche attraverso le videochiamate; abbiamo comunque festeggiato i compleanni di alcuni bambini, anche se per la prima volta senza i genitori e i fratelli. E soprattutto, confortati proprio da queste famiglie, abbiamo deciso di non chiudere la struttura, anche perché una trentina di ragazzi non avrebbero più un posto dove andare. E quindi dal 24 febbraio siamo praticamente blindati qui dentro, insieme agli operatori sanitari, per un totale di circa 135 persone, mentre alcuni amministrativi lavorano in smart working e ad altri abbiamo concesso le ferie, per non ricorrere alla cassa integrazione. Dal punto di vista operativo, tutto sommato siamo in una situazione di tranquillità, anche se abbiamo dovuto rivedere un po’ la nostra organizzazione di lavoro». E così, le 6 residenze dell’Istituto adesso viaggiano autonomamente: ognuna ha personale dedicato, così come per ora non sono più possibili i laboratori che prima abbracciavano un po’ tutti gli ospiti, dalla grafica alla cura dell’orto.

«E ci mancano tanto — riprende la presidente — tutti quelli che sono rimasti fuori, le famiglie che accompagnavano i ragazzi al centro diurno, vissuto non come un parcheggio ma come un accompagnamento alla vita, ad una nuova autonomia. Per questo abbiamo istituito un numero verde (800 090122) per assistere queste famiglie, anche quelle che prima non venivano da noi, attraverso un’équipe multidisciplinare di specialisti. Per loro è un dramma, perché si tratta di genitori che ora si ritrovano un carico assistenziale notevole, chiamati a gestire una quotidianità per niente facile, ma con tutti i vari Centri come il nostro bloccati ovunque in Italia (la riapertura è stata calendarizzata dal governo a partire da oggi, 4 maggio, ma serviranno tempi più lunghi per ripartire nel rispetto delle normative) e con il rischio ulteriore che all’improvviso si annullino tutti i progressi, tutti i livelli di autonomia raggiunti con tanta fatica da questi bambini e ragazzi».

E qui Di Maolo ritorna al discorso iniziale della cura — e non solo della semplice assistenza — alle persone e delle persone. Lo fa anche per quella che è la sua esperienza di membro dell’Ufficio nazionale salute della Conferenza episcopale italiana e all’impegno nel consiglio nazionale dell’Associazione religiosa istituti socio-sanitari (Aris): «Superare questa emergenza significa anche sapersi organizzare, fare prevenzione nel migliore dei modi. Dobbiamo capire che non basta la volontà da sola, ma che serve anche recuperare un’economia buona. L’istanza che ci sentiamo di avanzare è quella di un sostegno, ma per reinvestire nelle varie attività, anche perché la “fase 2” prevede necessariamente tempi più lunghi, altri costi, la sanificazione degli ambienti dopo ogni prestazione, attenzioni diverse. E quindi sapersi organizzare meglio. Il cuore e la capacità organizzativa devono andare insieme».

Le difficoltà economiche? Le stanno incontrando anche al Serafico, come accade per tanti altri soggetti del terzo settore e del no profit. Va registrato, ad esempio, un calo nelle donazioni da parte dei privati «che non sono elemosina — conclude la presidente — ma fanno un po’ parte del nostro modello economico. Ne riceviamo tante con i classici bollettini postali, ma ora la gente non può uscire neppure per andare alle Poste. Però riceviamo tante telefonate e ci scrivono che appena potranno, il loro pensiero sarà subito per i ragazzi dell’Istituto. E questo ci conforta, ci porta a sperare che la battuta d’arresto sarà solo transitoria».

di Igor Traboni