Lo Zimbabwe sull’orlo di una grave crisi umanitaria

Un 2020 senza acqua né cibo

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29 aprile 2020

Il 2020, che passerà agli annali della storia per la pandemia in atto, era in realtà già iniziato con delle premesse preoccupanti in tante Nazioni meno visibili per le cronache quotidiane. Il caso dello Zimbabwe sembra emblematico in tal senso.

Il biennio 2018/2019, in questa terra cara al Santo Padre, è stato contraddistinto da una prolungata siccità e dal ciclone Idai che ha colpito l’est del paese e causato una forte contrazione del raccolto annuo. Lo scorso ottobre 2019, il Paese ha subito piogge tardive ed irregolari, che hanno di fatto pregiudicato il raccolto anche per il 2020. Nelle aree urbane, la vita quotidiana è caratterizzata dalla penuria dei beni di prima necessità e da un aumento significativo delle persone che versano in uno stato di indigenza. In questo scenario particolarmente complesso si aggiungono altri due fattori a noi familiari: la pandemia di covid-19 e le misure di contenimento adottate dal Governo locale.

«La Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» (Populorum progressio n. 3). Questo monito, quanto mai attuale, di san Paolo VI, ci ricorda come, nonostante siano trascorsi più di 50 anni, il mondo non abbia fatto abbastanza per porre fine al problema della fame patita da tanti nostri fratelli e che non può lasciarci indifferenti.

In Africa meridionale, lo Zimbabwe era considerato una delle zone più floride. Tuttavia, il collasso dell’economia, che secondo molti osservatori è dipeso anche dalle politiche miopi degli ultimi decenni e dalla corruzione dilagante, insieme ai cambiamenti climatici che hanno generato periodi di siccità prolungati, hanno condotto il Paese sull’orlo di una crisi umanitaria senza precedenti. I recenti dati dello «Zimbabwe Humanitarian Response Plan 2020», che è stato redatto nei primi giorni del corrente mese dall’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha), testimoniano che oltre 7 milioni di persone, all’incirca metà della popolazione, si trovano in uno stato di insicurezza alimentare e necessitano di assistenza. Allo stesso modo, lo «Zimbabwe Annual Country Report 2019», pubblicato lo scorso anno dal Programma alimentare mondiale (Pam), aveva preannunciato questa grave situazione, visto l’impatto negativo delle piogge scarse e delle condizioni meteorologiche irregolari sui raccolti e sulle prospettive di sostentamento della popolazione. A questo si deve aggiungere l’enorme difficoltà per i piccoli produttori di accedere ai mercati locali, a causa dell’endemica corruzione.

Per far fronte a questa angosciosa situazione, il Pam sta lavorando alacremente per implementare programmi innovativi che possano contribuire agli sforzi dello Stato volti a raggiungere l’Obiettivo di sviluppo sostenibile 2 dell’Agenda 2030, potenziando i partenariati esistenti e creandone di nuovi, sia con il governo che con le organizzazioni non governative locali, le università, il settore privato e l’intera comunità delle Nazioni Unite. Inoltre, il sistema delle Nazioni Unite ha lanciato un piano di aiuti di 715 milioni di dollari, dei quali più della metà, 483, sono destinati all’assistenza alimentare. Oltre a questi ultimi, sono rilevanti i 65 milioni di dollari messi a disposizione per promuovere l’accesso all’acqua potabile e i 64 milioni per il settore della sanità.

Al quadro già estremamente drammatico che sperimenta il Paese, si aggiungono le potenziali nefaste conseguenze derivanti dalla diffusione del covid-19. Il timore più grande è che, con l’aumento del numero delle infezioni, nelle regioni più vulnerabili possa insorgere una crisi nella crisi, dove quella sanitaria sarà aggravata da quella alimentare, generando poi un circolo vizioso. A tal proposito, i Vescovi dello Zimbabwe hanno lanciato un forte appello per aiuti umanitari urgenti a favore di quanti sono alle prese con l’emergenza della fame e con una grave crisi economica e sociale, appello al quale per il momento organizzazioni umanitarie cattoliche hanno risposto con un contributo di 200.000 dollari, cercando di fare proprio il recente monito del Santo Padre, nell’omelia di domenica 19 aprile, a non lasciarsi sopraffare da «un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente». Questo morbo, molto più subdolo di quello biologico, «si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si parte da qui e si arriva a selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso» (Ibidem). L’attuale situazione di pandemia ha messo in luce le fragilità di cui siamo fatti singolarmente e ha dimostrato che nessuno si salva da solo, ma «un’emergenza come quella del covid-19 si sconfigge anzitutto con gli anticorpi della solidarietà» (Pontificia Accademia per la vita, Pandemia e fraternità universale, Nota sulla emergenza da covid-19, marzo 2020, p. 4).

La grave condizione in cui versa lo Zimbabwe è stata denunciata anche da Hilal Elver, Inviata speciale delle Nazioni Unite per il diritto al cibo, dopo una visita nel Paese lo scorso novembre, durante la quale ha invitato il governo, i partiti politici e la comunità internazionale a riunirsi per porre fine a questa crisi a spirale, prima che si trasformi in un vero e proprio conflitto. L’inviata ha altresì raccomandato l’attuazione di riforme immediate del sistema agricolo ed alimentare per rendere il Paese autosufficiente e preparato agli eventuali shock climatici, sanitari ed economici. Dei 59 distretti del territorio nazionale, otto hanno tassi di malnutrizione acuta di oltre il 5 per cento e il peso della crisi ha delle ripercussioni quotidiane devastanti, in particolare su donne e bambini. Il 90 per cento di questi ultimi, dai 6 ai 24 mesi, non segue una dieta minima accettabile e viene spesso privato dell’allattamento a causa della mancanza di accesso al cibo adeguato da parte delle madri. Per tale ragione, nell’ultimo periodo sono aumentati i decessi per malnutrizione grave e, con una maggiore frequenza, i bambini abbandonano la scuola e vengono costretti a matrimoni precoci.

La Santa Sede ha sempre rivolto un’attenzione particolare a queste persone di particolare vulnerabilità in diverse regioni del mondo.

Gli appelli di Papa Francesco a non dimenticare coloro che vivono quotidianamente il dramma della fame e si nutrono in modo poco salutare sono molteplici, così come le condanne degli sprechi alimentari. Come da Lui menzionato nel Messaggio al direttore generale della Fao in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione 2019: «È crudele, ingiusto e paradossale che, al giorno d’oggi, ci sia cibo per tutti e, tuttavia, non tutti possano accedervi; o che vi siano regioni del mondo in cui il cibo viene sprecato, si butta via, si consuma in eccesso o viene destinato ad altri scopi che non sono alimentari. […] Non possiamo dimenticare che ciò che accumuliamo e sprechiamo è il pane dei poveri». Finché prevarrà, dunque, la ricerca del profitto ad ogni costo, il problema della fame resterà irrisolto e lo sviluppo integrale di tutti i popoli, profetizzato da san Paolo VI nel suo luminoso magistero, continuerà a rimanere gravemente inevaso. Serve una trasformazione radicale dei nostri stili di vita.

I programmi di sviluppo e l’aiuto umanitario per la lotta alla fame funzioneranno soltanto quando verrà rimessa al centro la persona umana e si imparerà ad essere riconoscenti per i frutti donati dalla Terra, senza abusarne né ridurre il cibo a puro oggetto di commercio. Nonostante siano stati fatti numerosi progressi e la comunità internazionale continui a lavorare per garantire che nessuno venga lasciato indietro, l’effettiva eliminazione della fame e della malnutrizione resta purtroppo ancora lontana, soprattutto a causa di una cultura della solidarietà che non riesce a farsi strada. Come rammentato dal Vescovo di Roma nel Messaggio per la 40ª conferenza generale della Fao: «A partire dalla consapevolezza che i beni affidatici dal Creatore sono per tutti, occorre urgentemente che la solidarietà sia il criterio ispiratore di ogni forma di cooperazione nelle relazioni internazionali».

È ancora possibile sperare in un futuro migliore per lo Zimbabwe, così come per le altre regioni flagellate dalla problematica della mancanza del pane quotidiano. Ma la questione dello sviluppo dei popoli deve tornare prioritaria. Ed ecco che la risonanza della Populorum progressio riaffiora più urgente che mai: «È a tutti che noi oggi rivolgiamo questo appello solenne a un’azione concertata per lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità» (n. 5).

di Fernando Chica Arellano