La vita cristiana al tempo del coronavirus

Dallo smarrimento al risveglio

Antonio Fontanesi, «La Solitudine» (1875)
30 aprile 2020

La realtà così anomala che stiamo vivendo ha sconvolto in maniera senza precedenti anche la vita cristiana. L’epidemia, esplosa poco prima del giorno delle Ceneri, ha investito tutto il tempo quaresimale, aggiungendo al normale digiuno, il digiuno eucaristico, con le sante messe celebrate a porte chiuse. La domenica delle Palme senza ulivo benedetto. Una Settimana Santa inverosimile, partecipata attraverso mezzi digitali, per lo più puntati sull’immensa basilica di San Pietro e la sua nuda bellezza e la sua enorme piazza completamente vuota. La liturgia del Triduo pasquale solenne, ma allo stesso tempo sobria, commovente. La parola, i canti, le risonanze, i lunghi silenzi. Un Papa sofferente, raccolto nell’intimo, gravato dal dolore dell’umanità. Una realtà unica, mai vissuta prima neppure in tempo di guerra, ha accomunato tutti, credenti e non credenti, imponendosi come segno di una speranza ancora indecifrabile.

Quello che sta accadendo non può finire nel nulla, non può semplicemente esaurirsi. L’esperienza vissuta scava nelle coscienze, trasforma la storia, non solo quella socioeconomica, ma anche quella della Chiesa. Questo tempo che unisce l’umanità intera nella medesima paura, nel medesimo smarrimento, nel medesimo dolore, favorendo gesti di grande generosità e solidarietà, al contempo isola e divide fra loro le persone, colpendo in modo particolare la cristianità, impedendo di partecipare ai sacramenti e alla vita comunitaria.

Ma c’è da dire che questo grande smarrimento, questo stato di imprevedibile precarietà, costituiscono proprio le condizioni che predispongono all’azione dello Spirito, che smascherano e invitano a intraprendere cammini di verità. Risuonano pertanto con forza le parole del iv vangelo: «È giunta l’ora ed è questa in cui i veri adoratori adoreranno Dio in Spirito e verità» (Giovanni, 4, 23). Spirito e verità sono assolutamente congiunti. Lo Spirito è luce che dissolve le tenebre e la verità, quando si mostra nuda, uccide, fa morire a se stessi aprendo allo Spirito. Questo tempo di isolamento, di separazione e lontananza, può favorire a livello personale intensi percorsi di comunione con Dio.

Il corpo mistico di Cristo, purificandosi si vivifica, chiama verso l’essenza che è la vita dello Spirito Santo dentro di noi, che è la potenza della resurrezione in atto, memoriale che è il sempre del tempo, realtà attuale, sempre attiva ed efficace. Le sconcertanti parole che Gesù pronuncia per la morte di Lazzaro potrebbero divenire particolarmente significative anche per noi: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio» (Giovanni 11, 4).

Il dramma in corso può essere l’occasione di un reale processo di risveglio spirituale. Ci è chiesto però di trasformare questo tempo di isolamento in tempo in cui valorizzare la solitudine. Se viviamo male la solitudine vuol dire che non abbiamo un buon rapporto con noi stessi. Se non siamo in pace con noi stessi, non siamo in pace con Dio, che si rivela nel profondo. Ci sono sbarramenti che chiudono all’amore. La solitudine costituisce in se stessa la condizione indispensabile per sviluppare un autentico rapporto di comunione con Dio.

Il passaggio forte che investe la Chiesa e l’intera umanità tende a far sì che le comunità si trasformino in autentiche realtà di comunione. Centrali i capitoli giovannei denominati Testamento di Gesù (Giovanni 13-17). «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Giovanni 14, 10-11); «Voi in me e io in voi» (Giovanni 14, 20).

La comunione del Figlio col Padre si estende, attraverso Gesù, ai discepoli e dai discepoli all’umanità intera, ma è indispensabile una condizione: «voi in me», restare in lui. Chi resta in lui, partecipa di lui: «io in voi». Il Verbo incarnato, morto e risorto ha vivificato di se stesso la natura umana divenendo reale potenzialità per ogni uomo e ogni donna. Chiede però nudità, abbandono, di restare in lui, affinché lui possa farsi conoscere nell’intimo. «Voi in me e io in voi» implica la disponibilità ad aprirsi all’amore che Gesù ha fatto conoscere come esperienza umana incarnata. «Voi in me», come dire: «se mi amate». Se vi aprite al mio amore, io vi colmo di amore. Questo amore è il suo Spirito, è lo Spirito Santo che è amore in atto. Amore nell’atto di amare. Aprirsi allo Spirito di Cristo invita a riconoscere che siamo abitati dallo spirito del mondo, chiede di accettare un cammino di svuotamento, di kenosi. Processo che avviene nell’interiorità, nella solitudine. Questo tempo così anomalo si annuncia allora come segno di un’opera potente che scava nelle profondità per sciogliere, per provare e maturare la fede, per dirci «che è giunta l’ora ed è questa».

È giunto il tempo per vivere concretamente le parole di Gesù, «voi in me e io in voi», per lasciarsi attrarre nella dinamica della SS. Trinità e ricevere ed espandere amore. Questo crea corpo, unità. Fa sentire presenza e vicinanza anche nella distanza, nell’isolamento. Vivere la comunione d’amore con Gesù rende partecipi di una intensità d’amore che resta salda, radicata, al di là di qualunque lontananza. Fa sperimentare la comunione di Spirito. La consuetudine a sentire la presenza viva di Cristo dentro di noi, educa a sentire la presenza viva anche delle persone che amiamo, non solo di quelle sulla terra, ma anche di quelle già passate a miglior vita. Rende partecipi della comunione dei santi.

La solitudine che conduce alla comunione d’amore con Gesù, si trasforma dunque in solitudine abitata, diviene la condizione necessaria a stabilire autentici rapporti di comunione con coloro che incontriamo sulla nostra strada. Intensità d’amore che crea corpo nella Chiesa e apre a un amore radicato e quindi sempre più dilatato universalmente.

Un amore che nella concreta vicinanza e presenza non diviene possessivo, aggressivo o dipendente, perché colmo, purificato da ogni forma di potere egoico, sia esso fisico, psichico e tanto meno spirituale. Questo vale per tutti, laici, consacrati, religiosi, perché possessività, brama di potere, investono tutti.

La comunione di Spirito richiede l’esperienza dello Spirito, la via dell’interiorità. Questa situazione così estrema che sta investendo anche il cuore della cristianità nella sua vita comunitaria, liturgica e sacramentale, potrebbe allora porre le condizioni per un effettivo salto di qualità, che sposti dal dover essere all’essere, che inviti a vivere la liturgia della vita, a incarnare i sacramenti. Segno profetico di una grande opera spirituale in atto.

di Antonella Lumini