L’opera delle Missioni Don Bosco per sostenere le popolazioni alle prese con l’emergenza

Con sacrificio silenzioso ma tanto efficace

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20 aprile 2020

«C’è un fermento enorme per rispondere, come si può, al bisogno e alle necessità di tutti. Stiamo cercando di fare l’impossibile con tutte le nostre forze. Non si tratta soltanto di un’emergenza sanitaria, ma anche alimentare soprattutto nei Paesi in via di sviluppo»: è il grido di allarme lanciato da Giampietro Pettenon, direttore di Missioni Don Bosco che a «L’Osservatore Romano» spiega come la rete salesiana è intervenuta, e sta intervenendo, per far fronte nel mondo all’emergenza provocata dal coronavirus.

Mentre l’Italia faticosamente si sta avviando al punto di svolta nella diffusione della pandemia, tocca alzare lo sguardo oltre la penisola con un senso di condivisione e di responsabilità. «A noi, che siamo un’antenna sensibile della rete mondiale dei salesiani — spiega il direttore — compete anche il ruolo di riferire l’allarme sulla diffusione della pandemia in Africa, Asia, America latina, nonché le testimonianze e il lavoro dei missionari in questo particolare momento. Il mondo salesiano sta facendo la sua parte per prevenire e soccorrere in questa emergenza sanitaria globale. Da questo punto di vista, pur avendo esso stesso subìto l’impatto dell’epidemia, il Capitolo generale che si è svolto a Torino lo scorso febbraio (chiuso in anticipo sul programma) ha consentito di creare una sensibilità ai massimi livelli possibili». Rientrando nelle loro sedi, tutti gli ispettori e i delegati sono così diventati i primi agenti di sensibilizzazione delle loro comunità e di adeguamento della gestione di scuole e parrocchie ai dettami della prevenzione da covid-19.

I media citano i Paesi del Sud e del Nord Africa come quelli che si affacciano nella triste classifica dei più colpiti. Ma sono numerose, invece, le testimonianze salesiane dove viene quotidianamente raccontato come il virus stia colpendo anche il cuore del continente, dal Ghana al Sud Sudan, dal Madagascar al Rwanda. «Qui — racconta dal Camerun don Augustin Cuevas — è molto difficile proteggersi, sebbene il governo abbia diramato delle istruzioni per prevenire il contagio. Pare che già più di una cinquantina di persone abbiano contratto il virus. Noi salesiani confidiamo nei 33 gradi di temperatura e nella infinita bontà del Signore».

Ad Addis Abeba, don Angelo Regazzo ha accolto tutti i ragazzi che poteva nel Don Bosco Center prima che fosse impedito di uscire con il pulmino a prelevarli dalla strada come fa normalmente. «Ci siamo messi in quarantena volontaria con tutti i nostri “monelli buoni” — scrive dall’Etiopia — organizzando lavori manuali, classi speciali, tornei di sport, musica, proiezione di bei film educativi. Abbiamo cibo, acqua, diesel sufficienti per fare andare i generatori, le pompe d’acqua e i frigoriferi per diversi mesi. Abbiamo sapone in abbondanza per lavarci, alcool per disinfettarci, paracetamolo e medicinali di pronto soccorso. Nessuno esce dal recinto e quei pochi che entrano (guardiani, cuoche e operatori sociali) devono lavarsi le mani e disinfettare le scarpe con l’alcol».

Un missionario non si smentisce nel momento dell’emergenza. C’è anche la consapevolezza che incontrare le persone, benedirle, aiutarle può determinare qualche rischio: proteggendo le famiglie, la vicinanza è un dovere. «Don Bosco — dice don Regazzo — farebbe lo stesso. Sono sicuro che Maria Ausiliatrice ci proteggerà. Noi salesiani abbiamo la messa giornaliera e tutte le nostre pratiche di pietà che sono la nostra forza in una situazione di emergenza come questa». Di qui l’invito ai ragazzi, quasi tutti musulmani e ortodossi, «a pregare secondo le loro credenze religiose. Le uniche preghiere che recitiamo insieme sono il Padre Nostro e l’Ave Maria. Invitiamo i ragazzi a stare allegri e a credere nella vita. Perciò siamo convinti che andrà tutto bene!».

Dal Sudan, don Jacob Jartum non nasconde che, tra quelle che il Paese sta affrontando da diversi anni, «la sfida più importante è quella della pace, per cui i divieti di riunirsi e di stringersi la mano suonano davvero strani e in qualche modo controproducenti. Spero nell’intervento di Dio, in Europa, e qui».

Preoccupazione è stata espressa da don Didier Meba, in Burkina Faso, dove attualmente si stanno «limitando a seguire le restrizioni imposte dal governo e dalla Chiesa locale. Le riunioni sono vietate, per cui gli edifici religiosi sono sbarrati e le uniche messe che vengono celebrate sono quelle all’interno delle comunità religiose. I confini sono chiusi, ma il panico dilaga. La popolazione — aggiunge — non ha strumenti di nessun tipo, vive alla giornata ed è totalmente impreparata».

Si teme la diffusione del contagio anche in Burundi. «Questo virus — dice don Ferdinand Ntunzweinimana — è molto pericoloso, e qui c’è molta paura. Il governo sta invitando la popolazione a osservare misure preventive, come lavarsi spesso le mani, evitare il contatto fisico. Continuiamo a fidarci del buon Dio».

Da Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo, don Albert riferisce che in città  sono già morti diversi ragazzi. La  tensione è alle stelle, soprattutto a causa della speculazione che, iniziata in concomitanza con la diffusione delle notizie sulle prime vittime del covid-19 nel Paese, sta creando non pochi problemi di ordine sociale: a causa della corsa all’approvvigionamento alimentare, molta gente non ha da mangiare e i prezzi stanno raddoppiando, con reazioni di protesta da parte della popolazione che vengono puntualmente represse con violenza.

Situazione più tranquilla in Kenya, dove nel campo profughi di Kakuma, don José Padinjaraparampil riporta che «finora le cose sono andate bene, le autorità stanno prendendo serie misure per controllare il movimento e i contatti delle persone e come ormai quasi ovunque, scuole e luoghi di culto sono chiusi per evitare assembramenti. Sono sicuro che riusciremo a contenere il contagio».

Anche in America latina i missionari salesiani temono che il virus possa diffondersi soprattutto tra le fasce più deboli e vulnerabili del continente.

In Argentina, i membri della comunità dell’opera salesiana di Zárate, in collaborazione con il comune, si sono uniti volontariamente per raccogliere beni di prima necessità e distribuirli alle persone bisognose. I volontari, giovani e adulti, sono organizzati in due turni di lavoro di due ore, al mattino e alla sera.

La situazione estrema del Venezuela, invece, è quella in cui la combinazione fra mancanza di cibo e sistema sanitario al collasso rischia ancora di più di rendere incontrollabile anche dal punto di vista sociale la diffusione del virus, «il quale — testimoniano i salesiani — sta espandendosi anche negli altri Paesi del Centro e del Sud. Là i missionari possono fare da argine proteggendo i ragazzi che accolgono e coinvolgendoli nella solidarietà, garantendo vicinanza e conforto alle popolazioni anche nei villaggi lontani».

In Perú, don  Rolando Ramos Guija, a  92 anni, sempre “giovane” e attento ai poveri, anche in tempo di covid-19  in mezzo alla quarantena e all’isolamento sociale, non può evitare di aiutare le famiglie povere dei peruviani e dei venezuelani che gli chiedono aiuto. Fin dall’inizio della quarantena, il suo sguardo è caduto sui poveri della zona, e ha subito organizzato una “brigata di emergenza” per preparare «borse della salvezza» con beni di prima necessità. I quartieri più remoti sono stati i primi a ricevere aiuto. Don Ramos è parroco a Chosica a due ore di macchina da Lima.  «Ad oggi — racconta Silvia Cordova, assistente sociale della parrocchia Don Bosco — abbiamo distribuito cibo a 800 famiglie. I bambini sono quelli che soffrono di più. Ci siamo occupati di tutti, ma abbiamo constatato che più della metà sono immigrati venezuelani, che patiscono più fortemente l’impatto del deterioramento economico, perché hanno solo dei lavoretti informali e vivono alla giornata».

Nel Tamil Nadu, in India, la comunità salesiana dell’opera Retrat, a Yercaud, ha lanciato un programma per raggiungere i più poveri in questo tempo di pandemia e di difficoltà per tutto il mondo. Per l’intera settimana, in diverse giornate, vengono distribuiti alimenti a 100 anziani soli e a persone disabili. Inoltre, ci sono 200 famiglie bisognose, sparse nei villaggi tribali delle colline circostanti l’opera. Si tratta di famiglie che erano in grave difficoltà e famiglie di migranti, tutte persone che dipendono esclusivamente dalle loro piccole entrate giornaliere per il loro sostentamento e che per questo sono in crisi a causa del blocco negli spostamenti imposto in tutto il Paese. La necessità di un sostegno specifico e urgente per queste famiglie è stata individuata dai giovani dell’opera quando questi volontariamente, nei giorni scorsi, si sono assunti il compito di spruzzare disinfettante nella maggior parte dei villaggi delle colline, alcuni raggiungibili solo dopo lunghe ore di camminata in salita.

Missioni Don Bosco sta raccogliendo, in tutti i continenti dove è presente la Congregazione, ulteriori elementi per delineare un piano di intervento che preveda: massima limitazione del danno sanitario e sociale; tenuta delle relazioni educative con i giovani; soccorso per i casi di mancanza di cibo; pronta ripartenza dei percorsi che coinvolgono i giovani nella costruzione del loro futuro e di quello delle loro comunità. «È meraviglioso sapere — conclude Pettenon — che ovunque i missionari salesiani, come don Bosco, di fronte ad ogni problema sanno trovare una soluzione concreta, semplice, fatta di fatica, di vicinanza, di affetto, di sacrificio silenzioso ma tanto efficace».

di Francesco Ricupero