Il nesso tra il Messaggio per la Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali e la Domenica della Parola

Il racconto e la Parola: acqua di vita per la sete dell’uomo smarrito

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25 gennaio 2020

Esiste un evidente nesso tra il Messaggio pubblicato il 24 gennaio da Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali e la Domenica della Parola, l’iniziativa voluta dal Santo Padre che comincia proprio oggi. Il collegamento lo si può rintracciare nel titolo e nell’incipit del Messaggio che quest’anno il Papa ha voluto dedicare «al tema della narrazione, perché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone». La Domenica della Parola ha al suo centro la Bibbia, una narrazione ricca della verità delle storie buone, un testo, un “tessuto” di storie che hanno il potere di farci respirare, cioè di farci vivere, respingendo quello smarrimento che accompagna la vita di ogni uomo.

Non è un libro di teorie astratte la Bibbia ma una raccolta di narrazioni, una biblioteca (dal greco Tà Biblìa, I Libri) di 73 libri pieni di racconti, di storie che insieme compongono “la storia della salvezza”. Ogni storia umana è una storia di salvezza, è questo il senso ultimo della letteratura: l’uomo conosce lo smarrimento che la vita porta con sé («la dritta via era smarrita» canta Dante nel suo celebre incipit) e affronta l’abisso senza nome della morte. La letteratura è il racconto di questa esperienza: l’uomo che torna vivo dalla morte può raccontare, perché il male, come afferma Paul Ricoeur, non si può spiegare, è anzi l’assenza della spiegazione, ma si può raccontare. I primi uomini tornavano dalla caccia (portando morti e feriti con loro) e attorno al fuoco raccontavano l’avventura e spesso qualcuno ne faceva arte, dipingendo quelle storie sulle pareti della caverna, perché «la vita si fa storia» come recita il titolo del Messaggio papale. I poemi degli antichi non a caso sono dei “nostoi”, dei ritorni dall’orrore della guerra, come quello di Ulisse, ma anche nella modernità, come nel romanzo di Melville: Ismaele, l’unico sopravvissuto della Pequod, abbarbicato alla bara galleggiante, torna dalla morte e racconta. Così avviene nel Vangelo, che è una narrazione scaturita dal big-bang delle apparizioni di Cristo risorto ai suoi discepoli.

Anche oggi, nel mondo contemporaneo, iper-connesso e “iper-comunicativo”, raccontare storie è, ricorda il Papa, questione di vita o di morte. Si deve dare spazio alle parole, alla Parola, altrimenti si muore soffocati dalle chiacchiere perché è la chiacchiera il vero nemico, l’opposto della parola, non il silenzio. Parola e silenzio vivono uno grazie all’altra, uno dell’altra perché il silenzio è il grembo della parola e così come silenzio e parola generano e rigenerano la vita, la chiacchiera invece produce morte, uccide.

La Domenica della Parola ricorda la centralità nella vita del cristiano della parola di Dio raccolta nella Bibbia, un tema su cui Papa Francesco è spesso tornato nella sua predicazione. Nella Bibbia il cristiano può contemplare come «la vita si fa storia»: il Dio trinitario, creatore della vita, nella seconda persona del Verbo, cioè della Parola, «si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi», ha percorso le strade polverose degli uomini. È il mistero della kenosis di Cristo, del suo “abbassamento”, fino alla morte in croce che ha generato molto frutto, la vita e la salvezza per tutti gli uomini sue creature. Cristo è il Verbo, la Parola di Dio che, come dice il profeta Isaia, opera come la pioggia e la neve che «scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata», proprio così Gesù, cioè la vita di Dio fatta storia, compie la sua missione d’amore «fino alla fine».

Sono storie “buone” quelle della Bibbia? Certo, ma in che senso? La notizia che esse portano è il Vangelo, La Buona Notizia, la redenzione degli uomini operata da Cristo, ma sono buone innanzitutto perché sono storie “vere”. Da questo punto di vista il testo biblico possiede un realismo straordinario, che non fa nessuno sconto alla crudezza della vita e a tutte le sue zone d’ombra. Se Platone in Grecia raccomandava agli artisti di non raccontare le oscenità e le turpitudini della vita, non così accade per gli autori ispirati del testo biblico. Uccisioni, tradimenti, fallimenti, niente di tutto questo è risparmiato al lettore della Bibbia che invano cercherà un “happy end” assente nella maggior parte delle vicende in essa raccontate. I personaggi di quelle vicende entrano in scena con tutta la loro verità fatta di nobiltà intrecciata alla meschinità e anche i più “grandi” sono visti nella loro costitutiva fragilità (si pensi ad esempio al grande Re David) cioè umanità. Il punto è che le storie che la Bibbia racconta sono buone, cioè portano la buona notizia, ma non sono “dolci”, c’è più sale che miele nella parola di Dio che è come dice la Lettera agli Ebrei: «Viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore». Di questa parola tagliente ha bisogno l’uomo di ogni epoca e oggi anche gli stessi cristiani perché il rischio è quello di cadere nella tentazione di toglierle il pungiglione, così come ha intuito il critico letterario Northrop Frye (sua la definizione della Bibbia “Grande Codice” della letteratura): «La normale reazione degli uomini di fronte ad una grande costruzione culturale come la Bibbia è fare quello che i Filistei fecero a Sansone: ridurla all’impotenza e quindi rinchiuderla in un mulino a macinare i nostri risentimenti e pregiudizi...». Contro questa tentazione “accomodante” si batte Papa Francesco e anche l’iniziativa della Domenica della Parola deve essere letta all’interno di questa lotta, un combattimento che il Pontefice conduce con grande fiducia nella forza di quella Parola, perché, come conclude lo stesso Frye: «...ma i suoi capelli come quelli di Sansone, potrebbero forse anche lì cominciare a ricrescere».

di Andrea Monda