Una nuova guerra
Anzi, una guerra mai finita

People run to take cover after mortars fired from Syria, in Akcakale, Turkey, Thursday, Oct. 10, ...
11 ottobre 2019

La Siria torna a essere martoriata, questa volta sono i turchi ad aver avviato operazioni aeree e via terra. Di chi sia la mano, a questo punto, sembra quasi non contare più. Le grandi potenze mondiali fanno le loro mosse sullo scacchiere geopolitico, c’è chi minaccia, chi ricatta, chi guarda altrove, perennemente altrove.

I nemici si avvicendano, ma la sostanza non cambia: in due giorni di bombardamenti sono già 60.000 i siriani in fuga. Una popolazione provata da anni di guerra si ritrova per l’ennesima volta a correre via dalle proprie case, dai propri affetti.

È incredibile come la brutalità umana si sia concentrata su quella terra. In Siria si muore da troppi anni, troppi, lo sdegno dovrebbe essere generale, globale, invece tutto oramai accade senza grande eco, come se esistessero al mondo popoli destinati sempre e solo alla guerra. Come se vedere ucciso un proprio caro, un figlio, un fratello, producesse su alcuni un dolore diverso, inferiore, normale per quelle terre lontane. Il nostro silenzio non è altra cosa rispetto a tutta la brutalità che nel corso degli anni si è abbattuta sul popolo siriano, anzi, ne è la forma più infame, perché riguarda ognuno di noi, il nostro modo di concepire il prossimo, i nostri fratelli e il loro dolore.

In Siria, troppi esseri umani sono nati e cresciuti non conoscendo altra dimensione oltre quella tragica del conflitto, della distruzione, della morte che precipita dall’alto o ad altezza d’uomo, sempre e solo morte.

Nessun Dio, nessuna religione vuole questo. Chi si appella alla propria fede sa in cuor suo di mentire. Gli interessi in quella regione, remota e al tempo stesso centrale, sono altri e tristemente noti. È per questi interessi che si uccide il popolo siriano, nient’altro.

Quello che manca, per questo scenario di guerra e per i tanti altri focolai inestinguibili in giro per il mondo, è un impegno concreto della comunità internazionale, dell’Onu, di chiunque abbia ancora a cuore i destini dei popoli e non dei singoli stati. Ma da troppo tempo queste voci hanno perso totalmente di peso e centralità, al suo posto si odono le urla di quelli che agiscono come padroni della terra, di chi è pronto a gettare nell’abisso popoli interi, solo perché considerati nemici dei propri obiettivi, il più delle volte, anzi sempre, di natura economica.

È nel cuore dei popoli in fuga, di chi vorrebbe per sé e per ciò che ama una terra promessa dove vivere in pace e prosperità, è nei loro cuori che continua a vivere il vero volto di Dio. Fare male a loro vuol dire rinnegare profondamente Lui.

di Daniele Mencarelli