Dall’Islanda all’Amazzonia

Il grido silenzioso della Terra

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25 luglio 2019

La sera dello scorso 20 luglio il nostro sguardo si è rivolto nuovamente verso il cielo con emozione per osservare quella Luna sulla quale cinquant’anni fa un uomo posava il piede per la prima volta, schiudendo l’orizzonte dell’umanità a nuovi mondi. Appena il tempo di celebrare quell’evento eccezionale, che due notizie apparentemente piccole ci hanno riportato drammaticamente con i piedi per terra. Su questa nostra Terra sempre più martoriata.

La prima è giunta dall’Islanda, dove da agosto una targa ricorderà l’Okjökull, il primo dei 400 ghiacciai del paese a scomparire a causa del riscaldamento globale. «Una lettera al futuro», vi si legge in islandese e in inglese, e più che un ricordo quella lapide vuole essere un monito, perché «nei prossimi 200 anni tutti i nostri ghiacciai seguiranno la stessa strada».

Dall’altra parte del mondo sono invece arrivate le immagini del volto stupito di un indigeno Awá, sorpreso nel verde lussureggiante della foresta amazzonica brasiliana. Il suo popolo forse non ha mai avuto contatti con il mondo esterno o ha deciso in passato di ritirarsi in isolamento per sfuggire a quanti nel tempo hanno via via razziato le ricche risorse naturali del suo territorio. A decidere di mostrare il filmato è stato un gruppo di attivisti indigeni. Una scelta per difendere la tribù dai conquistatori di oggi, hanno spiegato gli autori del filmato, per i quali «queste immagini sono una richiesta di aiuto».

Già, una richiesta di aiuto. Un grido silenzioso, l’ennesimo, che, come quello giunto dall’Islanda, ci ricorda una realtà drammatica: il nostro mondo è davvero in pericolo. L’ambiente è a rischio, e alcuni luoghi più di altri, anche se ormai sappiamo che tutto è interconnesso. Molte popolazioni sono a rischio, con il loro carico di storia e di cultura. Alcune sono in pericolo più di altre. Ma se è vero che i primi a pagare il prezzo dei cambiamenti climatici e dello sfruttamento senza regole delle risorse sono i più poveri, ci si sta accorgendo che il conto sta velocemente arrivando a tutti, anche se non lo si vuole ammettere.

La spirale distruttiva in cui la Terra è stata proiettata altro non è che il risultato del modello economico, non più sostenibile, alla base degli attuali processi produttivi, nonché di politiche miopi e di comportamenti scellerati portati avanti da troppo tempo. In questi ultimi cinquant’anni abbiamo ricevuto molteplici segnali d’allarme, ma abbiamo commesso l’errore di sottovalutarli e talvolta colpevolmente scelto di ignorarli. Abbiamo negato una verità semplice ma importantissima che proprio i popoli indigeni, quelli che nel mondo più sono minacciati e che più combattono per salvare le terre in cui vivono da secoli, stanno disperatamente tentando di ricordarci: rispettare l’ambiente in cui si vive significa garantirsi la sopravvivenza.

Oggi quell’esiguo ammasso di ghiaccio che emerge a fatica tra le rocce, triste simulacro di un millenario gigante ormai irrimediabilmente perduto, e quello sguardo allarmato dell’indigeno strappato a un volontario isolamento ci inchiodano alle nostre responsabilità nei confronti del creato. Il futuro della Terra è nelle nostre mani. Qualcuno ha indicato la strada da seguire. Poiché l’uomo è connesso alla natura ed essa non è «una mera cornice» della nostra vita, nella Laudato si’ Papa Francesco ha suggerito il paradigma di una ecologia integrale, per coniugare la preoccupazione per la custodia del creato, l’equità verso i poveri, l’impegno per una società giusta e uno sviluppo sostenibile. E ha chiesto al contempo una conversione ecologica, per rivedere prassi errate e aprirsi a stili di vita improntati alla sobrietà.

D’altra parte gli esperti dicono che ci resta poco più di un decennio per invertire la rotta. Difficile affermare se si tratti di eccesso di pessimismo, ma dati ed eventi recenti non spingono certo all’ottimismo. Una cosa è sicura: bisogna cambiare e in fretta, altrimenti conosceremo catastrofi mai viste prima. Forse non è troppo tardi. Forse siamo ancora in tempo per fermare questo insensato processo di autodistruzione.

di Gaetano Vallini