Considerazioni sul voto in Europa

Un malinteso senso della libertà

epa07601619 A woman casts his vote in the European elections at a polling station in Berlin, ...
27 maggio 2019

La vittoria di misura di RN in Francia e quella oltre misura della Lega in Italia rappresentano forse i fatti più eclatanti di queste difficili elezioni europee che aprono nuovi scenari per il cammino del Vecchio Continente. Gli osservatori politici, una volta spogliato l’ultimo voto, potranno concentrarsi e sviluppare tutte le analisi necessarie per leggere e interpretare questo passaggio elettorale che intanto ha registrato il dato positivo del ritorno di un alto livello di affluenza alle urne. Libertà è partecipazione, come recita una nota vecchia canzone. La partecipazione quindi è andata bene, ma la libertà resta il problema di questa Europa; è questo il nodo, molto aggrovigliato, che emerge dal voto popolare.

Il primo aspetto di questo problema è la questione grammaticale. In particolare emerge la questione delle preposizioni. Secondo uno dei più grandi geni teologici del Novecento, Romano Guardini, «La libertà non vuol dire essere sciolto da qualcosa, ma essere sciolto per qualcosa». Papa Francesco, che dalla lettura di Guardini molto ha appreso, è un Papa che “scioglie”, che invita gli uomini a vivere in piena libertà, a condurre con naturalezza le relazioni con se stessi, gli altri, il mondo. Ma appunto sono le relazioni al centro della vita, per cui si deve vivere non sciolto-da ma sciolto-per. Essere sciolti-da in latino si dice ab-soluti, è questo atteggiamento la matrice dell’assolutismo, il recidere ogni legame, il porsi al di sopra di tutto il resto. Oggi l’atteggiamento assolutista ha assunto un’altra forma e un altro linguaggio: il sovranismo. Il sovrano, come indica la parola stessa, è colui che sopra di sé non vuole nessuno, che vuole essere libero-da ogni altra presenza che è vista come un limite soffocante alla propria libertà. È da questo malinteso senso della libertà che nascono i problemi che oggi l’Europa evidenzia nei risultati elettorali. Sovranismo e Europa in effetti sono due idee radicalmente contrapposte. L’Europa è l’unione degli stati, è uno stare-con. Ma questo non deve portare a demonizzare, quanto invece a cercare di comprendere le ragioni per cui si è arrivati a questa apparente contraddizione di un’Europa con forte tendenze sovraniste. Su questo punto può essere utile andarsi a rileggere il grande discorso del Papa al Parlamento europeo del 25 novembre 2014 in cui Francesco invitava a «guardare all’uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami. […] Tale solitudine è stata poi acuita dalla crisi economica, i cui effetti perdurano ancora con conseguenze drammatiche dal punto di vista sociale. Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell’Unione europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza e di invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni. […] L’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare». È la solitudine il problema a fronte del quale si può reagire oppure rispondere. La politica è incanalare le reazioni e trasformarle in risposta. Il sovranismo è la reazione ma l’Europa ha bisogno invece di una risposta che deve passare nel riscoprire le ragioni dello stare-con, del vivere insieme. Risposte, non reazioni. Le parole sono importati e anche quelle paroline, le preposizioni, sono importanti. Ci può essere ad esempio, una vita, e un voto, contro. Spesso questo accade. La dimensione “contro” è una facile scorciatoia che esercita un grande fascino. Contro è una parola che non fa parte dell’elenco classico delle preposizioni ma è l’esatto opposto di due fondamentali preposizioni: con e per. Se uno è contro non è con, e non è per. E invece la politica, soprattutto se vissuta alla luce del Vangelo, è sempre “per”, sempre propositiva mai reattiva o distruttiva. Se è reattiva vuol dire che la paura ha preso il sopravvento. E la paura rende pazzi e spezza i legami.

Su queste pagine alcuni studiosi e intellettuali cattolici hanno avviato una riflessione ricca di spunti, che ricorda, ad esempio, come il cristiano non sia mai “contro” qualcuno (vedi l’intervista di oggi a Marco Impagliazzo in terza pagina), e che non si può ridurre la politica soltanto alla garanzia della sicurezza. Lo ha spiegato efficacemente Giuseppe De Rita qualche giorno fa: ci deve essere a fianco all’autorità civile che garantisce la sicurezza, un’altra autorità, spirituale, che offre ai cittadini il senso dell’esistenza. È questo il ruolo e la responsabilità a cui è chiamata oggi la Chiesa cattolica, il popolo di Dio: indicare un senso, cioè una direzione, un cammino di liberazione non “da” ma “per”, altrimenti l’Europa finisce per diventare come quella nave, di cui parlava Kierkegaard, che dall’altoparlante, al posto della voce del capitano a indicare la rotta, emette la voce del cuoco che elenca il menù.

Andrea Monda