In futuro come collocherete nella vostra memoria il momento in cui Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti d’America? Io, come molti milioni di persone della mia generazione e altri ancora, ricorderò che l’elezione è avvenuta nei giorni della morte di Leonard Cohen.
Da teenager,
alla fine degli anni sessanta e nei primi anni settanta, Leonard Cohen era uno
dei nostri grandi compagni. Essendo cresciuti al suono dei Beatles, idolatrati
da tantissimi, trovavamo conforto e persino piacere nelle liriche poetiche di
stana bellezza e nelle semplici melodie di questo grande musicista canadese.
Cohen era la scelta naturale quando la festa continuava fino a tarda notte
diventando più tranquilla, e lui faceva da sottofondo a confidenze e a
chiacchere tra amici. Potevamo contare su Leonard che quasi a nostro nome
esprimeva emozioni interiore o un’indefinita melanconia.
La sua arte era
espressione profonda dell’esperienza umana, con la quale potevamo identificarci
nella nostra confusione di adolescenti. Non capivamo del tutto quello che
scriveva, ma ci piaceva, e ci piaceva il modo in cui veniva cantato. La sua
musica toccava una corda nelle nostre anime, risuonava nell’intimo e stranamente
possedeva la capacità di elevare chi l’ascoltava, malgrado l’apparente distanza
dell’autore.
Leggendo dopo tanti anni i versi di So long, Marianne, sono
colpito dalle parole quasi mistiche con cui inizia: Come over to the window, my
little darling, I’d like to try to read your palm (“Vieni pure alla finestra,
mia piccola cara, mi piacerebbe provare a leggerti il palmo della mano”).
Leonard aveva iniziato a dedicarsi alla musica quando, come aspirante autore e
poeta, non riusciva a pagare le bollette. È stata una vera benedizione per noi
che sia stato costretto a esprimere la sua poesia anche sotto forma di
canzoni.
Sappiamo che Leonard era in un costante cammino spirituale; la sua
conversione al buddismo e la sua esperienza monastica sono stati momenti
centrali nella sua vita. Le sue canzoni sono piene di riferimenti e di ricordi
religiosi. In Marianne, la rimprovera: But you make me forget so much. I forget
to pray for the angels and then the angels forget to pray for us (“Ma tu mi fai
dimenticare così tanto. Mi dimentico di pregare per gli angeli, e poi gli angeli
dimenticano di pregare per noi”). Mentre in Sisters of Mercy canta: It begins
with your family, but soon it comes around to your soul (“Inizia con la tua
famiglia, ma presto raggiunge la tua anima”). Mezzo secolo dopo, la canzone più
interpretata da altri artisti è Hallelujah, che inizia con i versi giocosi Now
I’ve heard there was a secret chord that David played, and it pleased the
Lord... The minor fall, the major lift, the baffled king composing Hallelujah
(“Ho sentito di un accordo segreto suonato da David e gradito al Signore... La
minore scende, la maggiore sale, il re perplesso compone l’alleluja”).
Per
tutta la vita siamo sempre potuti ritornare a Leonard Cohen, qualche volta, a
dire il vero, per trovare conforto. Alla notizia della sua morte ci rendiamo
anche conto che non siamo più giovani, eccetto quando ascoltiamo Leonard,
ricordiamo i nostri amici e rendiamo grazie per il tempo perso intorno a un
vecchio giradischi sognando la vita che avevamo davanti.
Prima che Marianne
Ihlen morisse, Leonard Cohen, che l’aveva resa immortale nella canzone che porta
il suo nome, le scrisse. «Ora però voglio solo augurarti buon viaggio. Addio
vecchia amica. Amore senza fine. Ci vediamo in fondo alla strada». Forse oggi le
loro strade si sono di nuovo incontrate; mi fa piacere pensare che sia così.
di Paul Richard Gallagher
Piazza S. Pietro
20 febbraio 2019

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