S’intitola da un’espressione del discorso alle Nazioni unite la raccolta di scritti di Montini "Un uomo come voi. Testi scelti (1914-1978)", curata da Giovanni Maria Vian (Genova, Marietti, 2016, pagine 200, euro 16). Il 14 aprile alle 17.30, in occasione della pubblicazione, avrà luogo a Concesio (Brescia) nella sede dell’Istituto Paolo VI (via Marconi 15) una tavola rotonda su Montini nella storia del Novecento. Interverranno don Angelo Maffeis, presidente dell’istituto, Ferruccio de Bortoli, editorialista del Corriere della Sera, Giacomo Scanzi, direttore editoriale del Giornale di Brescia, e il direttore dell’Osservatore Romano.

Nel Palazzo di Vetro di New York - scrive il direttore nell'introduzione - il Papa aveva appena cominciato a parlare. Davanti a lui i rappresentanti di mezzo mondo lo seguivano con curiosità e attenzione mentre in francese leggeva un testo lungo e appassionato. Lo aveva scritto personalmente parola per parola in italiano, e personalmente aveva rivisto la traduzione in quella che era un po’ la sua seconda lingua, come lo era stata per sua madre, morta all’improvviso mentre meditava sulle pagine di Bossuet. Aveva studiato il francese da ragazzo e poi l’aveva perfezionato a Parigi, giovane prete, in un’estate ormai lontana e, soprattutto, l’aveva sempre praticato. Leggendo con avidità autori sempre amati e usandone spesso la lingua in innumerevoli incontri durante il trentennio trascorso nella segreteria di Stato vaticana, con responsabilità sempre crescenti, fino ai vertici.
«Voi avete davanti un uomo come voi; egli è
vostro fratello» disse Montini, che subito dopo alzando per un momento gli occhi
dal testo aggiunse: «Oh! voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l’opinione che
voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la nostra missione; siamo
portatori d’un messaggio per tutta l’umanità». Anzi — continuò con un’immagine
suggestiva — «siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a
recapitare la lettera che gli è stata affidata»; adempiendo «un voto, che noi
portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo
che siamo in cammino, e portiamo con noi una lunga storia; noi celebriamo qui
l’epilogo d’un faticoso pellegrinaggio in cerca d’un colloquio con il mondo
intero, da quando ci è stato comandato: Andate e portate la buona novella a
tutte le genti».
Più di mezzo secolo è trascorso da quel giorno, e
nell’incalzare sempre più convulso del tempo la visita davvero storica di Paolo VI alla sede delle Nazioni Unite è quasi dimenticata. Come i contorni del suo
pontificato e della sua figura sembrano lontanissimi e sbiaditi, stretti tra
quelli, meno dimenticati, del predecessore Roncalli — l’amico di sempre, che
appena eletto in conclave lo aveva scelto come suo primo cardinale, risarcendolo
così dell’esilio da Roma — e soprattutto del successore Wojtyła e del suo
lunghissimo regno, dopo la brevissima e misteriosa parentesi di Luciani. Un
pontificato, quello di Montini, e il suo protagonista dunque ormai lontani nella
memoria pubblica, ma che Papa Bergoglio, più ancora della causa di
canonizzazione, sta richiamando ai nostri giorni dimentichi.
In quelle
parole del discorso all’Onu c’è tutto l’uomo e il cristiano divenuto successore
dell’apostolo Pietro, così come l’immagine che più lo rappresenta è semplice e
immediata: una mano che si protende. Un servizio giornalistico della televisione
italiana di quegli anni lo documenta, mostrando il Pontefice che, da pari a
pari, uomo istintivamente moderno, stringeva con semplicità le mani che lo
cercavano, certo non rifuggendo da quanti baciavano la sua, ma senza cercare
omaggi che avvertiva desueti. E a evocare il simbolo della mano che si apre,
celebrando nel duomo di München una messa per il Papa appena morto, fu poi anche
Ratzinger — il teologo che era cardinale da appena un anno, creato nell’ultimo
concistoro di Paolo VI — in un’omelia che allora passò del tutto inosservata. Il
testo è invece una rilettura essenziale della figura di Montini e in alcuni
tratti anticipa in modo impressionante il destino che lo stesso Ratzinger
avrebbe vissuto trentacinque anni più tardi.
«In cerca d’un colloquio con il
mondo intero»: l’espressione usata dal Papa a New York racchiude il suo
itinerario biografico, in apparenza scarno, e il quindicennio di un pontificato
drammatico e decisivo. «Forse la nostra vita non ha altra più chiara nota che la
definizione dell’amore al nostro tempo, al nostro mondo, a quante anime abbiamo
potuto avvicinare e avvicineremo: ma nella lealtà e nella convinzione che Cristo
è necessario e vero» annotava infatti il Papa in un appunto (che risale
probabilmente a qualche mese prima del discorso all’Onu) sul predecessore
Roncalli, con il quale già veniva contrapposto ideologicamente. Abituato a
riflettere su se stesso, Montini scrisse sempre moltissimo: appunti personali,
lettere, articoli, discorsi, in una grafia sorvegliata e chiara, con pochi
ripensamenti. È poi il Papa stesso — caso non frequente — a scrivere
personalmente buona parte dei testi pubblici del pontificato, spesso bellissimi
e che impressionano per la coerenza, anche stilistica, con quelli degli anni
precedenti, fin giovanili.
Ma chi era questo Papa che scelse per sé il nome
di san Paolo, la figura più incisiva del cristianesimo delle origini? Un uomo e
un cristiano, appunto, che ha attraversato gran parte del Novecento appassionato
e pienamente partecipe del suo tempo. Nato il 26 settembre 1897 a Concesio,
piccolo paese alle porte di Brescia, si spense infatti quasi all’improvviso, non
ancora ottantunenne, la sera del 6 agosto 1978, festa della Trasfigurazione,
nella calura soffocante della residenza pontificia di Castel Gandolfo.
Il
padre Giorgio, avvocato e giornalista, poi deputato popolare, era stato tra gli
esponenti del cattolicesimo più aperto e responsabile. Dolce e rigorosa al tempo
stesso, la madre Giuditta Alghisi aveva saputo trasmettere ai tre figli maschi
una spiritualità profonda ed esigente. Così, affascinato giovanissimo dalla
preghiera di un gruppo di monaci francesi esiliati nella campagna bresciana, il
secondogenito Battista avvertì presto la vocazione religiosa, maturata
nell’ambiente aperto dei preti oratoriani di Brescia. Ordinato sacerdote nel
1920, per completare gli studi si trasferì nell’autunno di quell’anno a Roma,
dove rimase sino alla fine del 1954, quasi senza interruzioni. Nel 1924 entrò
infatti nel servizio diplomatico della Santa Sede e trascorse un trentennio in
Segreteria di Stato, con ruoli di responsabilità crescente — come stretto
collaboratore di Pacelli, prima segretario di Stato e poi Pontefice — fino a
raggiungerne i vertici (come sostituto dagli ultimi giorni del 1937 e come
pro-segretario di Stato dalla fine del 1952). Da Roma fu allontanato con la
nomina, tanto prestigiosa quanto impegnativa, ad arcivescovo di Milano. Ma
l’esilio milanese si rivelò decisivo: creato cardinale dal nuovo Papa, l’amico
Roncalli, alla morte del Pontefice venne eletto come suo successore la mattina
del 21 giugno 1963, mentre il primo sole d’estate inondava di una luce accecante
piazza San Pietro. «Il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo
veramente. La Chiesa, qual è. Il mondo qual è» annota il giorno dell’elezione, a
notte inoltrata, nell’appartamento pontificio, che gli causa «impressione
profonda, di disagio e di confidenza insieme». E nella stessa piazza dove per la
prima volta si era affacciato dalla loggia della basilica vaticana, e dove era
stato incoronato in una cerimonia d’altri tempi che non si sarebbe mai più
ripetuta, la sera del 12 agosto 1978 vennero celebrati i semplici funerali del
Pontefice, mentre il vento sfogliava le pagine di un vangelo aperto sulla sua
bara deposta per terra.
Tutto era mutato nel quindicennio trascorso tra
quelle due estati: il mondo non era più quello ottimista e impaziente di uscire
dalla guerra fredda e dal colonialismo, entrato com’era nella transizione
difficile, e per tanti aspetti oscura, verso il nuovo secolo. Appena eletto,
Montini non aveva voluto chiamarsi né Pio né Giovanni, come i Pontefici che
aveva servito con intelligenza e lealtà, ma aveva preso il nome dell’apostolo
missionario per eccellenza, figura decisiva per la religione di Cristo, quel san
Paolo le cui idee e lettere aveva studiato a fondo da giovane. E come Paolo
viaggiò per annunciare il Vangelo sino ai confini della terra. Con scelte
essenziali, tornando innanzi tutto nei luoghi di Cristo, come mai era accaduto a
un successore di Pietro. Poi in India, nelle Americhe e fino alle Samoa nel
Pacifico, toccando tutti e cinque i continenti, primo Papa a recarsi in tutto il
mondo.
Piazza S. Pietro
10 dicembre 2019

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