Non si comprende il War Requiem di Britten se non si coglie ciò che vi rappresenta il testo latino del Requiem gregoriano sia di per sé, sia nelle sue intricate e fascinose relazioni con i testi poetici in lingua inglese, meravigliosi e tuttora sanguinanti, che vi compaiono.
È proprio in queste relazioni che trova alimento il linguaggio possente e “pacificatore” che il grande compositore inglese ha insegnato ad articolare al dilaniato “secolo breve”. Lo scrive Enrico Reggiani sottolineando che Britten, che aveva sempre voluto musicare il testo della messa da requiem, in questo caso va ben oltre quel suo iniziale progetto: in onore della ricostruita cattedrale di Coventry, che custodisce il dono di un’ecumenica Chapel of Unity, egli concepisce una cattedrale musico-letteraria che intreccia il tempo lungo e comunitario del testo latino con una tragica esperienza individuale, recisa inesorabilmente nel fiore della giovinezza dalla crudeltà della guerra e condensata in alcuni componimenti del poeta inglese Wilfred Owen (1893-1918). Nel War Requiem — Anthony Miller lo considera «lo spartiacque della sua carriera compositiva» (1984) — Britten non lancia proclami o manifesti pacifisti, non spreca facili ironie dissacratorie sui misteri del sacro, non indossa divise, t-shirt o paramenti religiosi: intreccia musicalmente passato e presente dell’umano in modo che il primo continui a celebrare il segreto della vita e il secondo impari «la pietà della guerra, la pietà che la guerra ha distillato» (Wilfred Owen, Strange Meeting), invocata dal baritono nel Libera me, Domine, de morte aeterna, sesta sezione della cattedrale britteniana.
Piazza S. Pietro
10 dicembre 2019

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