«Letteralmente significa «cinguettio». In latino potrebbe essere reso con pipio pipiare (dal passer di Catullo). Può andare bene perché è onomatopeico. Ma si può usare anche clangor o garritus e ci sarebbero anche altri termini». Già dalla traduzione del nome, quindi, tra Twitter e la lingua di Cicerone non c’è una relazione univoca. La questione è al centro di un dibattito il pomerriggio del 10 maggio al Salone del Libro di Torino nell'ambito degli appuntamenti previsti per la presenza della Santa Sede come ospite d'onore.
Ne parlano Luciano Canfora, Valerio Massimo Manfredi e Ivano Dionigi, presidente della Pontificia Academia Latinitatis. Quest'ultimo ha anticipato in un'intervista le linee del suo intervento.
«Il punto è che ci sono almeno due considerazioni apparentemente contradditorie».
Cioè?
Il latino è alleato di Twitter, ma Twitter non gli basta. Il social network è adatto a questa lingua. Chiede di utilizzare 140 caratteri, che sono anche troppi per una lingua sintetica, non analitica, che grazie ai casi non conosce gli articoli e può fare a meno di preposizioni, pronomi, talvolta del verbo. Questa natura consente di esprimere il maximum del significato, la sua potenza direbbe Seneca, grazie al minimo del significante.
Marcello Filotei
Piazza S. Pietro
16 febbraio 2019

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