Quel fruscio delle pagine
C’è un villaggio in Pakistan, chiamato Darra Adam Khel, non lontano dalla città di Peshawar, tristemente noto per la fabbricazioni delle armi. Si tratta di un vero e proprio business: l’area è infatti disseminata di botteghe dove lavorano artigiani esperti nel modellare armi di diverse dimensioni. Utilizzando arnesi quali macchine foratrici, martelli, presse e incudini, essi sono in grado di riprodurre qualsiasi tipo di arma: da una Beretta a un Kalashnikov. Prima di mettere il manufatto sul mercato, gli stessi artigiani lo “provano”: ogni giorno, quindi, il villaggio è scosso dal fragore degli spari, rendendo il contesto non certo sereno e conciliante, per quanto oramai i residenti ci abbiano fatto l’abitudine.
Ma da circa un anno in questa “oasi di guerra” ha
trovato spazio una biblioteca che al momento conta al suo interno più di 2500
libri: un numero, come riferisce Haroon Janjua in un articolo pubblicato
recentemente sul «New York Times», destinato sensibilmente a crescere. «È una
conquista eccezionale — sottolinea il trentaduenne Raj Muhammad (al suo attivo
ha un master in letteratura urda conseguito all’università di Peshawar) — che
riveste un valore del tutto particolare considerando il contesto in cui la
biblioteca è sorta. Fino al 2010 il villaggio era sotto il controllo dei
talebani che hanno fatto razzia di tutto ciò che di bello, anche sul piano
culturale, c’era nell’area. Dopo che sono stati sconfitti — spiega Muhammad — il
villaggio è passato nelle mani dall’esercito, ma l’aria che si respira è sempre
quella di una guerra mai finita. A fronte di ciò, negli abitanti si è andato
sempre più rafforzando il desiderio di creare un luogo che segnasse una sorta di
tregua dal fragore delle armi, che prima venivano usate per uccidere, adesso per
provare se funzionano». Ecco allora che la biblioteca — in grado di ospitare
settanta persone nella sala di lettura — viene a configurarsi come un faro che
getta una luce potente sulle tenebre della logica bellica, con la speranza di
squarciarle. Definitivamente.
Molti giovani del villaggio hanno perso i
genitori e gli amici più cari a causa del conflitto, e riconoscono nella lettura
uno strumento prezioso per riscattarsi da un passato doloroso e travagliato, e a
essa chiedono il sostegno necessario per andare avanti, con decoro e dignità.
Sugli scaffali della biblioteca dominano i volumi di storia e di politica,
riguardanti in particolare sia il Pakistan che altri Paesi della regione. Ma non
mancano romanzi e raccolte di poesie, anche di autori dell’Occidente. In questi
giorni è stato messo in bella vista, all’ingresso della biblioteca, il libro di
Michael Wolff Fire and Fury, dedicato al presidente degli Stati Uniti Donald
Trump.
La biblioteca dà lavoro a circa 240 impiegati, quaranta dei quali
sono donne. Anche questo è un fatto significativo perché fino a qualche tempo fa
nell’area erano ancora in vigore misure discriminatorie nei riguardi delle
donne, le quali, va detto, ancora non possono andare in giro da sole, ma devono
sempre essere accompagnate da un uomo. Lo staff, attraverso anche l’uso di
Facebook, strumento sdoganato nel villaggio solo di recente, opera un’attenta
selezione dei libri da acquistare a beneficio dei residenti, i quali si stanno
rivelando sempre più avidi di letture e di approfondimenti.
La presenza di
questa biblioteca in un villaggio che nel tempo è diventato sinonimo della
fabbricazione delle armi riveste senza dubbio un pregnante valore simbolico.
Infatti nel popolo pakistano si sta sempre più affermando la consapevolezza —
come sottolinea il «New York Times» — che solo attraverso un paziente cammino di
formazione culturale è possibile scrollarsi di dosso un passato segnato da
sanguinosi conflitti. Non basta che le armi tacciano: si tratterebbe solo di un
primo passo, per quanto fondamentale. S’impone altresì l’esigenza di una cultura
che muova anzitutto dalla lettura dei libri al fine di plasmare una nuova
società, libera e creativa. In questo senso il contributo che sta dando la
biblioteca di Darra Adam Khel è nevralgico. E illuminante.
di Gabriele Nicolò
Piazza S. Pietro
16 dicembre 2019

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