Vivendo a due passi dalla chiesa di Santa Bibiana, quando sono a Roma, desidero davvero ringraziare quanti hanno consentito ai restauratori di completare il lavoro iniziato grazie alla direzione della Galleria Borghese e sviluppato successivamente con l’assenso del Vicariato di Roma, proprietario dell’opera, e della competente Soprintendenza, ma anche con ulteriori risorse meritoriamente rese disponibili dallo stesso Vicariato e dall’Enpam (Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri) in pieno spirito di cooperazione: così è stato possibile, anzitutto per la parrocchia e per noi vicini di rione, ricevere arricchita di senso quest’opera, apprezzata finora quasi solo da specialisti o dai fedeli più assidui.
La circostanza che, appena uscita dalle mani dei restauratori,
l’opera abbia subito il distacco di un dito della mano destra, così mirabilmente
pensata ed eseguita dal Bernini, è stato incidente grave, che si sarebbe dovuto
evitare, pur nel contesto di un’operazione di riposizionamento di estrema
complessità e delicatezza. Per fortuna nessun frammento è andato perduto e il
risarcimento è stato prontamente effettuato sotto il controllo della
Soprintendenza nell’arco di qualche giorno.
Rimane il rammarico non
consolabile che quella mano di esecuzione sublime, già in passato danneggiata
nel pollice, abbia subito questo nuovo danno, che si aggiunge a perdite — queste
sì senza possibilità di recupero — subite in passato dall’opera come, ad
esempio, nel masso roccioso alla base della colonna. Devo però dire che non
giustifico le parole di Tomaso Montanari (cfr. «La Repubblica» del 1° maggio)
quando non soltanto scrive che l’opera «è stata mutilata», ma inescusabilmente
paragona un danno prodottosi nello spostamento di un’opera d’arte esemplarmente
restaurata addirittura ad atti consapevolmente vandalici, anzi dichiarando
questi ultimi meno gravi.
Sono allibito da un uso così irresponsabile di doti
retoriche, che Montanari saprebbe certo impiegare al meglio proprio per
valorizzare culturalmente questo capolavoro del Bernini e il suo restauro.
L’articolo appare in realtà avere tutt’altro obiettivo: demonizzare ogni mostra
che comporti lo spostamento di opere. Il danno in questione viene così
strumentalizzato per sostenere una posizione a mio avviso del tutto ideologica;
oltre tutto, si induce il lettore a credere che il restauro fosse inutile o
possibile senza estrarre temporaneamente l’opera dalla sua sede. Tante volte,
raffinate e incontestate mostre di scultura antica, come quella curata da
Salvatore Settis alla Fondazione Prada (
Serial classic, 2015, ove si
vide anche una riproduzione in 3d a colori dei bronzi di Riace a fini didattici)
hanno comportato lo spostamento di sculture delicate e di significativa
dimensione.
Che vi sia nel mondo un continuo lavorio di mercificazione del
patrimonio culturale è purtroppo sotto gli occhi di tutti. Persino i maggiori e
più prestigiosi musei, anche nel nostro paese, rischiano ormai sempre più di
venire stravolti e riallestiti per ossequiare la cultura capolavoristica del
turismo mordi e fuggi, secondo una museologia che fa il paio con gli ubiqui menù
delle colazioni internazionali negli albergoni senza identità. Ma ritengo
davvero ingiustificato contestare, come Montanari si spinge a fare, che la Santa
Bibiana sia stata estratta dalla nicchia, sottoposta a studi, rilievi e restauri
prima e dopo la mostra praticamente senza interromperne la fruizione pubblica.
Anzitutto (ma il professore e altri sembrano ignorarlo) la scultura fu
spostata su e giù dall’altare anche in passato e fu rimontata in modo errato,
come proprio con questo restauro si è scoperto. E poi, proprio grazie agli studi
e all’intervento appena eseguiti, l’«incantesimo di Bernini», che Montanari
peraltro giustamente evoca, è stato solo ora compreso davvero, e filologicamente
ripresentato ai nostri occhi nell’assetto originario, almeno per gli aspetti
spaziali.
Semmai proprio da questo restauro, e dalla lettura più corretta
che esso ha consentito, dovrà promanare un’opportuna ricomprensione del contesto
architettonico più prossimo, anche attraverso un buon progetto di illuminazione
artificiale: l’altare e soprattutto le pareti a esso adiacenti, che la
Soprintendenza e il Vicariato hanno fatto indagare stratigraficamente, possiamo
ora intenderli nella regia cromatica e luministica originaria, oggi in gran
parte scomparsa e che sarebbe splendido riuscire a recuperare. Al pari della
mirabile grata a intrecci che funge da paliotto dell’altare: un altro capolavoro
quasi ignorato del Bernini scultore in metallo (giustamente evidenziato da
Montanari in televisione), che lascia intravedere sotto la mensa, ma come fosse
in un altro mondo, l’elegante e solenne sarcofago romano, in cui le reliquie
venerate vennero deposte dopo il rinvenimento avvenuto proprio alla soglia
dell’anno santo 1625.
di Pietro Petraroia
Piazza S. Pietro
22 febbraio 2019

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