Lo storico e antropologo belga Guido Convents, esperto di cinema africano e delle relazioni fra cinema e cattolicesimo, ha firmato un piccolo volume dal titolo Dal segretariato dell’ocic per il cinema missionario a Signis Service Rome, che riassume la storia, lunga ormai quasi un secolo, degli enti attraverso cui il mondo cattolico ha cercato di regolamentare il rapporto fra il proprio pubblico e il grande schermo. Non senza difficoltà, titubanze e frequenti temporeggiamenti. A causa, soprattutto, della scarsa preparazione tecnica sui mezzi di comunicazione.
Una storia che inizia con la fondazione
dell’Office Catholique International du Cinéma (ocic), presieduto dal tedesco
Georg Ernst, già direttore della casa di produzione cattolica Leo-film di
Monaco. Anche sulla spinta e la guida delle encicliche di Papa Pio xi Divini
Illius Magistri (1929) e soprattutto Vigilanti cura (1936), l’ocic comincia
presto a specializzarsi nell’uso del cinema per facilitare l’evangelizzazione
dei paesi di missione, ovvero a diffondere attraverso il cinema idee cattoliche
e a promuovere produzioni sull’opera missionaria da distribuire anche al grande
pubblico, come Tokosile die schwarze Schwester (1933) dell’oblato Stephan-Maria
Jurkzek o Sahara, terre féconde (1935) di padre Felix Dufays. Ma il segretariato
del cinema missionario prenderà definitivamente forma soltanto nel dopoguerra
grazie a padre Jean-Marie Poitevin, già missionario nonché regista di film
sull’argomento.
Nuovi impulsi al cinema missionario e alla regolamentazione
di cinema e radio per la diffusione di valori cattolici, arriveranno quindi dal
concilio Vaticano ii e dall’enciclica di Paolo vi Communio et progressio (1971),
che sancirà definitivamente l’importanza della comunicazione attraverso i media,
strumento assolutamente legittimo e prezioso per la diffusione della dottrina
cattolica.
Nel 2001 l’ocic ha rafforzato la propria struttura fondendosi con l’Unda, l’organizzazione cattolica internazionale per la radio e la televisione, e diventando signis, sotto la presidenza di un altro missionario, padre Jean Paul Gillet, della Società per le Missioni Estere, il quale avrà il merito di traghettare l’ente nell’era della tecnologia digitale.
di Emilio Ranzato
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