Pastori e pecore
Discepolo, pastore, profeta. Tre parole che, secondo Papa Francesco, racchiudono la fisionomia e la missione del sacerdote. Su questo trinomio ha imbastito la sua riflessione il cardinale Beniamino Stella incontrando il clero della provincia ecclesiastica dell’Avana lunedì 27 aprile, a conclusione della visita a Cuba.
Per il porporato l’«esperienza discepolare» costituisce un impegno permanente nella vita del prete. «È importante nella nostra vocazione di discepoli — ha raccomandato — non smettere mai di camminare nonostante le cadute, e andare avanti, facendo sempre un passo alla volta, un passo che sia proporzionato alle proprie capacità». Quel che conta è tornare continuamente «al primo amore», ripetendo ogni giorno «il primo sì che abbiamo detto al Signore quando ci ha chiamato a seguirlo». E per questo è fondamentale coltivare la preghiera, l’amicizia sacerdotale, la fraternità, la comunione.
Riguardo alla dimensione pastorale, il prefetto della Congregazione per il clero ha avvertito anzitutto che «difficilmente si può essere un buon pastore se non si impara a essere una buona pecora». Questo significa restare «docili e obbedienti al Signore attraverso la Chiesa, nella persona del vescovo»; ma vuol dire anche disponibilità alle «piccole chiamate» che interpellano in ogni istante il ministero sacerdotale. In ogni caso, due sono le parole chiave della pastoralità del presbitero: «la vicinanza» al suo gregge e «la misericordia» verso «le miserie delle sue pecore», con le quali egli è chiamato a instaurare un rapporto di «empatia» e «sollecitudine» per sperimentare concretamente le loro fragilità e sofferenze.
Infine il cardinale Stella ha messo l’accento sulla vocazione profetica del prete, che consiste nell’«annunciare e denunciare». Egli, ha spiegato, deve «saper parlare di Dio agli uomini», ma deve anche «saper parlare degli uomini a Dio», mettendo nelle mani del Padre «tutti i fratelli che hanno beneficiato del servizio profetico e pastorale nel corso della giornata».
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