Nuovi simboli
Tracciare una storia dell’immagine nel cristianesimo, significa comprendere i diversi modi con i quali la Chiesa ha rappresentato se stessa in relazione alla propria missione. Certo, Paolo VI nel discorso agli artisti nella cappella Sistina nel 1964 si mostra consapevole che una profonda frattura tra fede e arte si è creata a partire dal XVIII secolo. Tuttavia, le sue esortazioni accorate rivolte alla ripresa di un dialogo appaiono oggi purtroppo più un programma d’intenti che non un obiettivo tematizzato e affrontato in tutte le sue implicazioni spirituali e culturali.
Negli anni del dopo Concilio a oggi, sono di certo emerse luci e
ombre. Se la maggior parte di questi tentativi si sono presentati come proposte
incoerenti e frammentate, troppo spesso improvvisate, è per il motivo che la
Chiesa, dal punto di vista dell’immagine, probabilmente, non è ancora riuscita a
darsi oggi un volto.
Da un lato prevale il desiderio di ritornare a un
passato tanto lontano quanto improbabile, come si riscontra dal pullulare dei
tanti «neo» che imperversano tristemente nel panorama contemporaneo:
neo-paleocristiano, neo-bizantino, neo-medioevale, neo-rinascimento,
neo-barocco. È come se il Vangelo, sterilizzato della sua forza creatrice e
innovativa, non avesse più nulla da dire al tempo presente, in tutti i suoi
aspetti sia positivi che contraddittori.
Carlo Levi diceva che il futuro ha
un cuore antico. Parole splendide! Tuttavia, abbiamo la sensazione che non si
tratti in questo caso di ispirazione, di rispetto della tradizione, ma di una
immersione, di un tuffo in un mondo antico, come se il Vangelo non avesse più
nulla da dire. L’incapacità di guardare all’oggi e ai suoi linguaggi pone
difficoltà. È forse un segno di una nostalgica fuga dai problemi del nostro
tempo?
Dall’altro lato, è difficile riscontrare una seria sperimentazione che
tenga conto delle diverse valenze ecclesiali e spirituali in gioco nella
realizzazione di un’immagine sacra. Insomma, l’arte liturgica — quando non si
riduce al kitsch dei gadget devozionali — sembra muoversi in un territorio
improbabile e anacronistico.
Se da un lato non sono mancate ricerche
significative, dall’altro sono apparse troppo isolate per creare un vero e
proprio movimento di riflessione. Certo, nel Novecento sono stati
particolarmente interessanti quei momenti in cui gli artisti hanno riflettuto
sul senso del sacro. D’altronde, sin dagli inizi del secolo breve moltissima
arte ha indagato i temi dell’invisibile o della spiritualità, da Klee a Rothko,
da Newman a Spalletti, a Viola.
Tuttavia, oggi sta emergendo con sempre
maggiore consapevolezza che la vera sfida della Chiesa appare in relazione
all’immagine liturgica. È sufficiente considerare il disagio che sperimentiamo
quando entriamo nelle chiese antiche e contemporanee. Quale rappresentazione può
farsi ricca di senso per la celebrazione e per la preghiera? Questo
interrogativo fa riflettere sulle modalità con le quali le comunità cristiane si
auto-comprendono e mettono in scena la propria identità cristiana. Non è un
problema semplicemente formale o estetico. L’interrogativo s’incentra su come la
fede cristiana si esprima in forme simboliche che interpretino la propria fede
in tutte le varie dimensioni spirituali, affettive, sociali, teologiche,
politiche.
Se oggi Papa Francesco cerca di riaprire una Chiesa che è chiamata
a essere sale della terra, lievito che fermenta in tutte le dimensioni della
vita, nuove riflessioni possono aprirsi. Una domanda resta ineludibile: in che
modo lo spirito creatore di Dio può animare e vivificare la cultura del nostro
tempo? Significa interrogarsi sul mistero stesso dell’Incarnazione e del suo
senso nella storia dell’uomo.
Come scrive Papa Francesco nel n. 167
dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Bisogna avere il coraggio di
trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione
della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti
culturali, e comprese quelle modalità non convenzionali di bellezza, che possono
essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate
particolarmente attraenti per gli altri». Quali saranno i nuovi segni, i nuovi
simboli, la nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di
bellezza per il futuro? Di certo, si tratta di ripensare il futuro
dell’immagine.
di Andrea Dall'Asta
Piazza S. Pietro
20 febbraio 2019

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