L’Onu contro Aung San Suu Kyi
Nuovo duro attacco dell’alto commissariato dell’Onu per i diritti umani (Unhchr) al consigliere di stato e ministro degli esteri del Myanmar, Aung San Suu Kyi, per il suo ruolo svolto durante la violenta campagna militare nel paese contro la minoranza etnica musulmana dei rohingya.
In un’intervista concessa ieri alla Bbc, l’alto commissario dell’Unhchr, il giordano Zeid bin Ra’ad Zeid Al Hussein, ha senza mezzi termini detto che «Suu Kyi avrebbe dovuto dimettersi», invece di «coprire l’operato dei militari del paese asiatico», accusati in un recente rapporto delle Nazioni Unite di avere effettuato «una vera e propria pulizia etnica nei confronti dei rohingya» nello stato del Myanmar del Rakhine. Il tentativo di Suu Kyi — premio Nobel per la pace nel 1991 — di giustificare le azioni dei militari, ha aggiunto Al Hussein, è stato «profondamente deplorevole». L’Unhchr è l’agenzia dell’Onu che si occupa di promuovere e proteggere i diritti umani che sono garantiti dal diritto internazionale e previsti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Il giudizio dell’Alto commissariato segue appunto il rapporto di lunedì scorso della missione del consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, secondo cui i generali del Myanmar devono essere incriminati per genocidio e per i crimini di guerra perpetrati dall’agosto dello scorso anno contro i rohingya. Anche il rapporto del consiglio non ha risparmiato critiche nei confronti del consigliere di stato e ministro degli esteri del Myanmar. Per gli esperti dell’Onu, Suu Kyi non ha, infatti, «usato la sua posizione politica, né la sua autorità morale, per arginare o impedire» le inaudite violenze e gli abusi contro i rohingya. Il Nobel per la pace «era in grado di fare qualcosa», ha precisato Al Hussein alla emittente britannica. «Avrebbe potuto restare in silenzio — ha denunciato — o, meglio ancora, avrebbe potuto rassegnare le dimissioni».
Piazza S. Pietro
13 dicembre 2019

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