Il film Risorto (Risen) racconta la storia di Gesù in modo piuttosto inedito. Il punto di vista è infatti quello dei romani che l’hanno giustiziato, e che negando ovviamente la sua natura divina non sanno come sia potuto fuggire dopo la crocifissione.
Il tribuno romano Clavio (Joseph Fiennes), che ha assistito alla morte di Gesù (Cliff Curtis) sulla croce, viene incaricato da Ponzio Pilato (Peter Firth) di scoprire dove sia finito il suo corpo, dato che tre giorni dopo la crocifissione la tomba è stata trovata vuota. Il romano dovrà anche sbrigarsi, per evitare che si diffonda presto la voce di una resurrezione, capace di spingere la cittadinanza di Gerusalemme a una rivolta. Ma ciò che vedrà con i suoi stessi occhi non potrà non farlo cambiare per sempre.
Il soggetto, ma soprattutto i trailer, che parlavano della «più
importante caccia all’uomo della storia», lasciavano foscamente presagire un
prodotto ben al di là dei confini del kitsch. Una specie di thriller in abiti
antichi. Quasi un corrispettivo di quella letteratura di serie c in cui frati
medioevali o senatori dell’antica Roma si ritrovano a fare da detective in
improbabili indagini svolte però con i ritmi e i passaggi logici mutuati dalla
contemporaneità. Con il torto, in più, di usare a questo scopo la vita di Gesù.
Mentre dal punto di vista formale sembrava di dover andare incontro all’ennesimo
peplum di grana grossa, non lontano da 300 o dallo Spartacus televisivo.
A
dispetto delle premesse, confezionate evidentemente col solo scopo di
accalappiare il pubblico più ampio possibile, il film si rivela invece
decisamente misurato, sia nella sceneggiatura che nella regia. Soprattutto
quest’ultimo aspetto sorprende, visto che il regista americano Kevin Reynolds è
lo stesso che si era impantanato nelle acque di Waterworld (1995), uno dei più
grossi flop produttivi di tutti i tempi, crollato sotto il proprio stesso
gigantismo. E che poi era riuscito nell’impresa di proseguire la sua carriera
senza però sollevarsi da un livello di medio artigianato.
Qui invece si
rende artefice di alcune scelte assolutamente azzeccate, la più importante delle
quali è quella di affidarsi a un cast quasi interamente britannico.
Assicurandosi così interpretazioni dallo standard professionale molto alto e
capaci di stemperare già da sole qualsiasi tentazione sensazionalistica. Poi si
contorna di validi collaboratori, come un direttore della fotografia abile a
sfruttare in chiave solenne la suggestiva ambientazione, o come un montatore che
dà un contributo importante nella scena cruciale, quella in cui Cristo
ricompare, momento delicato che invece si rivela anche il più riuscito del film,
decisamente emozionante.
Le caratterizzazioni dei personaggi sono snelle e
simili a quanto già visto in altri film sull’argomento, a partire da un Pilato
cinico e vanesio. Mentre le figure dei discepoli sono piuttosto in ombra. Ma i
problemi veri, dal punto di vista drammaturgico, nascono nella seconda parte e
sono legati alla storia che si è scelto di raccontare. Un prodotto come questo,
ben confezionato ma comunque senza velleità di oltrepassare i confini del cinema
commerciale, ha bisogno di un’esigenza drammatica che tenga viva la componente
narrativa fino all’ultimo.
di Emilio Ranzato
Piazza S. Pietro
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