La Colombia
«Ora tutti dobbiamo unire le nostre menti e i nostri cuori per conquistare il premio più importante: una pace giusta e duratura». Con queste parole, ieri, il presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha commentato la decisione del comitato di Stoccolma che gli ha conferito il premio Nobel per la pace 2016. «Colombiani, questo premio è vostro, e ora dobbiamo impegnarci perché non ci sia più una sola vittima, dobbiamo riconciliarci e unirci per chiudere questo processo di pace con un accordo giusto e duraturo» ha aggiunto il presidente.
I primi effetti politici del Nobel a Santos sono arrivati poche ore dopo l’annuncio. All’Avana i negoziatori del governo colombiano e delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno diffuso un comunicato comune nel quale hanno confermato che il processo di pace va avanti.
Le due parti hanno ammesso che è necessario riconoscere la vittoria del no nel recente referendum. Inoltre, i negoziatori hanno accettato l’iniziativa di Santos di consultare i promotori del no per definire «correzioni e precisazioni» all’accordo di pace. Il principale promotore del no, Álvaro Uribe, ha auspicato che il riconoscimento «porti a cambiamenti negli accordi che sono nocivi per la democrazia».
Le reazioni al Nobel non sono andate tutte in una sola direzione. «L’unico premio al quale aspiriamo è quello della pace con giustizia sociale» ha detto il principale leader delle Farc, Rodrigo Londoño Echeverri, meglio noto come Timochenko. In molti, tra cui anche l’ex candidata alle presidenziali Íngrid Betancourt, hanno affermato che il comitato avrebbe dovuto assegnare il premio anche alle Farc.
Piazza S. Pietro
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