Il male che non faceva notizia
Sono ormai passati settantasei anni da quella buia notte della storia, quando quasi tutte le sinagoghe in Germania e in Austria furono distrutte dai nazisti. Nonostante le terribili leggi discriminatorie antisemite promulgate a partire dal 1933, quando i nazisti giunsero al potere in Germania, fu quella la notte in cui tutti compresero chiaramente che la violenza contro gli ebrei non sarebbe terminata fino alla loro espulsione o alla loro eliminazione dall’Europa. Una storia di mille anni di presenza ebrea in Ashkenaz si concludeva. Quella notte ebbe inizio una delle espressioni più ripugnanti della perversione umana. Da allora, l’idea dell’umanesimo e il suo significato esigono una definizione nuova.
La Shoah non fu prodotta dalla rabbia o da un
momento di cecità collettiva. Giorno dopo giorno, per anni, decine di migliaia
di persone furono testimoni passivi della deportazione dei propri vicini. Altri
li condussero verso la morte, altri ancora ne trasformarono i corpi in cenere:
furono incapaci di riconoscere la condizione umana negli ebrei.
L’abilità
dei nazisti consistette nel concentrare i diversi sentimenti antiebraici, che
nei secoli si erano sviluppati in Europa, in un odio ben cristallizzato.
Dov’erano dunque gli intellettuali? Perché furono così pochi coloro che si
preoccuparono veramente del destino dei propri fratelli?
Il prossimo 27
gennaio ricorrerà il settantesimo anniversario della liberazione del campo di
concentramento di Auschwitz, che segna simbolicamente la fine dell’attività
delle fabbriche di morte. Quello stesso giorno rappresenta un punto di partenza,
il momento per la formulazione delle domande più angoscianti che dobbiamo porre
a noi stessi, come anche alle generazioni future fino alla fine dei
tempi
di Abraham Skorka
Piazza S. Pietro
08 dicembre 2019

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