Le città ben riflettono le grandi e rapide trasformazioni che caratterizzano la fase storica che stiamo vivendo e la stessa condizione di pluralità nella quale siamo immersi e con la quale siamo chiamati a confrontarci e interagire: pluralità di soggetti; diversità dei riferimenti valoriali; molteplicità di culture; differenziazione delle esperienze religiose; vasti flussi migratori di persone e famiglie; costante destrutturazione e delegittimazione delle istituzioni a vantaggio dell’individuo; concatenazioni sempre più forti ed evidenti, che da tempo non riguardano più soltanto la dimensione economica e finanziaria e quella delle comunicazioni, ma che avvolgono ogni ambito del vivere.
Le città, soprattutto le aree intensamente
urbanizzate, rappresentano l’ambito ove quotidianamente si manifesta in modo
evidente l’affermazione della società individualistica e post-moderna, che ha
moltiplicato i non-luoghi, che ha reso instabili, o addirittura reciso, i
vincoli comunitari e che ha annullato i riferimenti pratici e simbolici che
alimentano identità condivise e progetti comuni.
Le città della
post-modernità, caratterizzate da un tessuto sociale sempre più composito, per
essere positivamente governate, esigono un pensiero e forme di progettazione e
di azione che sappiano coniugare e valorizzare non solo le cose che uniscono, ma
anche le differenze. Non è sufficiente limitarsi a registrare e segnalare i
mutamenti, anche profondi, che attraversano le nostre città, è pure
indispensabile individuare un orizzonte e imprimere una rotta. Ma, è possibile
farlo, senza una seria e profonda rivisitazione dei fondamenti che regolano la
nostra vita comune? Senza valori di riferimento chiari e condivisi, frutto di un
dinamico confronto tra le differenze?
L’attuale contesto è caratterizzato sia
da un alto livello di frammentarietà, sia dal moltiplicarsi delle
interconnessioni. L’interdipendenza planetaria si fa sempre più forte e ormai
avvolge ogni cosa. Per questo, occorre saper guardare al globale, per capire
anche il frammento. È altresì necessario saper cogliere i mutamenti e valutare i
processi che ogni frammento avvia e comporta. Per questo, a tutti e a ciascuno,
nel valutare e nell'agire, è chiesta una seria presa di coscienza della
complessità, intesa non solo come condizione della realtà, ma anche come chiave
ermeneutica.
Siamo in presenza di processi inediti e in larga parte
irreversibili. Presi da soli, forse, molti di questi processi non sono del tutto
nuovi. A incidere fortemente e a rappresentare la novità è il loro intreccio, in
un contesto di profondi cambiamenti geopolitici e con l’accelerazione con la
quale oggi tutto si muove, per lo straordinario sviluppo dei mezzi di
comunicazione e di trasporto.
Tra i grandi processi in corso, quello che
possiamo ritenere uno dei più pervasivi ed importanti, anche sul piano
antropologico oltre che politico, è indubbiamente quello migratorio. Fenomeno
non certamente nuovo, ma che oggi si presenta con forti elementi di novità, per
una molteplicità di fattori. Basta pensare a come l’internazionalizzazione e le
varie vicende geopolitiche abbiano profondamente mutato la stessa natura dei
flussi migratori, partendo dalle problematiche e dai cambiamenti che le
migrazioni producono, o da cui sono prodotte, già nei paesi di origine. Fino ad
arrivare ai cambiamenti che esse inducono nei paesi di arrivo. Cosa, questa dei
cambiamenti generati dai processi migratori, che da sola esige una visione della
questione tutt’altro che parziale, bensì globale e complessiva.
L’attuale
situazione mi sembra metta bene in luce la più che evidente necessità di andare
oltre i cosiddetti modelli di integrazione sperimentati nei vari paesi, che
stanno dimostrando tutte le loro lacune, parzialità e contraddizioni. In Italia,
poi, in assenza di uno specifico modello di riferimento, di fatto si è andato
affermando quello che potremmo definire «un modello ibrido di integrazione, cioè
assimilazionista negli intenti e multiculturalista negli effetti, che spesso
somma gli elementi negativi dell’uno e dell'altro».
I movimenti di persone,
hanno sempre inciso sui destini di tutti i continenti, non solo in termini
demografici. Il fattore demografico, tuttavia, oggi ha risvolti e un peso non
indifferente in ogni ambito del vivere. Soprattutto in Italia e in Europa, dove
siamo in presenza di quella che, pur variamente motivata, ho sentito chiamare la
«nuova priorità culturale di non avere figli».
Quello migratorio è un grande,
dinamico, articolato e complesso fenomeno culturale, sociale e civile, non solo
economico. Per una lettura il più possibile oggettiva, la questione dei flussi
migratori va osservata da vari punti di vista e nelle sue varie sfaccettature,
mediante una molteplicità di strumenti analitici e interpretativi. Le
migrazioni, infatti, costituiscono un fatto molteplice e variabile, non un
insieme indistinto. Presenta sfide al migrante (deve ripensarsi e ricostruirsi
una vita nel nuovo ambiente in cui riesce a risiedere), al paese di arrivo, ai
paesi di transito e a quello di partenza. La stessa famiglia del migrante è
fortemente messa alla prova, sia nel caso rimanga nel paese di origine per lungo
tempo, sia che condivida, da subito o in un tempo relativamente breve, il
progetto migratorio di un suo componente. Il fenomeno migratorio, dunque, esige
una visione complessiva per essere capito, ma anche per essere governato e non
semplicemente controllato.
di Giovanni Momigli
Piazza S. Pietro
11 dicembre 2019

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