Gli Stati Uniti
I mesi e le settimane appena trascorsi sono stati un tempo di estrema turbolenza nella politica americana, portando cambiamenti degni di essere definiti radicali e forse persino rivoluzionari.
In uno dei due principali partiti del Paese, un socialista —
che propone un’ideologia che tradizionalmente ha occupato un posto non più che
marginale nella politica statunitense — rimane in corsa per la nomination
presidenziale.Cosa ancor più notevole è che l’altro partito principale ha,
di fatto, dato la sua nomination per la presidenza a un uomo che proviene dal di
fuori dei ranghi dei suoi leader consolidati: un uomo d’affari che non ha mai
rivestito un incarico elettivo e che contraddice elementi importanti del
programma del partito così come viene presentato da oltre trent’anni.
Gli
americani e buona parte del resto del mondo si interrogheranno a lungo sulle
implicazioni di questi cambiamenti dopo le elezioni del prossimo novembre.
Ovviamente, le radici e le ramificazioni economiche di questi eventi rivestono
un particolare interesse per i leader nell’imprenditoria.
Tra le questioni
discusse con più fervore durante la campagna presidenziale ci sono la
migrazione, il commercio internazionale e la natura e la misura degli impegni
militari statunitensi a lungo termine all’estero.
Nessun fattore di questo
grande mutamento politico è stato però più importante dei cambiamenti delle
condizioni e della natura del lavoro che si sono verificati negli ultimi
decenni.
Dal 2000, accelerando una tendenza che si registrava già da diverso
tempo, gli Stati Uniti hanno perso più di cinque milioni di posti di lavoro nel
settore manifatturiero. La tecnologia ne ha eliminati alcuni, mentre la
globalizzazione ne ha spostati altri in località a più basso costo all’estero. I
nuovi posti di lavoro spesso richiedono una specializzazione o, altrimenti,
rendono troppo poco per consentire a un genitore, o persino a due, di mantenere
una famiglia.
Per molte persone prive di un’educazione superiore o di
specializzazione, questi sviluppi sono stati catastrofici, segnando la fine del
sogno americano di mobilità fino a raggiungere il ceto medio per mezzo del
cosiddetto lavoro dei colletti blu.
Non è una coincidenza che questa fascia
socio-economica della popolazione statunitense abbia subito una crisi sociale,
con tassi crescenti di dipendenza da droghe e da alcol, famiglie monoparentali e
suicidi.
Su questo sfondo, le proposte per limitare il commercio
internazionale e ridurre l’immigrazione hanno ottenuto il sostegno di molti
votanti. Quali che siano i meriti o i difetti di tali proposte, qualsiasi
soluzione a lungo termine del problema dell’occupazione riguarderà la creazione
di lavori che possano dare a chi li svolge un senso di dignità: non solo
stipendi adeguati, ma anche la stima della società e la soddisfazione personale
che deriva dal gestire responsabilità proporzionate alle proprie capacità.
È
una sfida che, ovviamente, esiste anche oltre le coste statunitensi. Come ha
detto Papa Francesco la scorsa settimana ai leader europei, il progresso nel
continente esige che i suoi giovani trovino impiego, «lavori degni che
permettano loro di svilupparsi per mezzo delle loro mani, della loro
intelligenza e delle loro energie».
Forse lavori di questo genere potranno
giungere in parte dalla riscoperta di arti e mestieri tradizionali. La maggior
parte, però, dovrà probabilmente essere inventata: occupazioni in cui i
lavoratori usino e aggiungano valore alla tecnologia, con la quale non possono
più competere.
La Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, che si dedica
allo studio e alla diffusione della dottrina sociale cattolica tra i leader
dell’imprenditoria e i professionisti, sta programmando una serie di iniziative
per esaminare le implicazioni morali dei recenti progressi nella tecnologia
digitale, compreso il potente impatto che questa tecnologia ha sulla questione
dell’occupazione.
La creazione di lavoro dignitoso dipende in parte dagli
sforzi dei legislatori e degli educatori. Ma la responsabilità più grande spetta
ai leader nel campo imprenditoriale, che si tratti di singoli imprenditori,
dirigenti di grande aziende o gestori di cooperative.
Secondo un documento
pubblicato nel 2012 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace,
«promuovere un lavoro dignitoso» fa parte dell’«amministrazione di
organizzazioni produttive», che è la vocazione del leader dell’imprenditoria.
Questa vocazione comporta anche praticare le virtù della giustizia e della
saggezza concreta nella guida di quella che san Giovanni Paolo ii ha definito
una «comunità di persone al servizio dell’intera società».
Questa visione è
idealistica — potremmo perfino considerarla romantica — ma non irrealistica.
Posso affermarlo sulla base della mia esperienza personale.
Il mio compianto
padre era un imprenditore che, nei suoi quarant’anni di carriera, ha dato lavoro
a diverse centinaia di dipendenti a tempo pieno. Ha sempre trattato i suoi
dipendenti con rispetto e lealtà, cercando di dare loro tutta la responsabilità
che potevano gestire. Nei momenti difficili, quando era tentato di mettere in
dubbio l’importanza del suo lavoro, traeva grande soddisfazione dal sapere che
grazie alla sua iniziativa centinaia di persone avevano potuto usare le loro
capacità e mantenere le loro famiglie.
Mio padre è stato per tutta la vita un
cattolico praticante. Non l’ho mai sentito parlare della dottrina sociale della
Chiesa e dubito che l’abbia mai studiata, ma la vocazione del leader
nell’imprenditoria, così come descritto sopra, lo avrebbe sollecitato e
ispirato.
Lo scorso settembre, citando la sua enciclica sociale Laudato si’
Papa Francesco ha detto all’assemblea plenaria del Congresso degli Stati Uniti
d’America: «L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione, orientata a
produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto
fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se
comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo
servizio al bene comune».
Alcuni sondaggi dimostrano che il viaggio
apostolico del Papa negli Stati Uniti ha portato americani di tutte le fedi ad
adottare una visione della Chiesa cattolica più favorevole, ma questo effetto è
stato molto più marcato tra i democratici e altri con una visione politica di
centro-sinistra che tra i repubblicani o quanti si definiscono conservatori.
Probabilmente ciò è dovuto all’idea diffusa negli Stati Uniti, basata sulla
critiche alle ingiustizie della globalizzazione da parte di Papa Francesco, che
il Pontefice non è un sostenitore del capitalismo e degli affari.
Tuttavia,
gli imprenditori — come chiunque svolge un qualunque lavoro onesto — vogliono
fortemente credere che il loro lavoro è nobile e pregno di un senso più profondo
del mero guadagno personale. Sono quindi un pubblico altamente ricettivo
all’incoraggiamento e alla guida della dottrina sociale della Chiesa, così come
articolata dal Santo Padre e da altri, come la Fondazione Centesimus Annus Pro
Pontifice.
In un tempo in cui tanti hanno perso la fiducia nelle principali
istituzioni pubbliche e private, la visione cattolica della leadership
imprenditoriale continua a essere fortemente convincente e attraente, con il
potenziale di catturare l’immaginazione e alzare gli standard di chi la pratica
nella Chiesa e fuori dalla stessa.
Francis X. Rocca
Vaticanista del Wall Street Journal
Piazza S. Pietro
12 dicembre 2019

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