Lo scorso 26 ottobre è stata inaugurata la mostra L’arte novissima. Lucio Fontana per il Duomo di Milano 1936-1956, realizzata dalla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano all’interno del suo museo quale omaggio al grande artista italo-argentino e alla sua attività per la cattedrale ambrosiana nel cinquantenario della scomparsa.
La mostra, aperta fino al 27 gennaio 2019,
mette al centro il restauro dell’ultimo bozzetto realizzato dal maestro per il
concorso per la Quinta Porta del Duomo e si completa idealmente in cattedrale il
3 novembre di quest’anno con lo svelamento della Pala dell’Assunta di Fontana,
al termine del Pontificale nella solennità di san Carlo Borromeo presieduto
dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini, collocata sull’altare di sant’Agata
per tutta la durata dell’esposizione. L’Assunta è la versione bronzea di una
pala d’altare che la Veneranda Fabbrica decise di fondere nel 1972 sulla base
del modello in gesso che Fontana modellò su richiesta dell’Ente nel 1955.
L’artista, infatti, avrebbe dovuto trasporre il bozzetto in marmo di Candoglia,
ma il progetto rimase incompiuto.
Ma qual è il senso di portare in Duomo
un’opera di Lucio Fontana a cinquant’anni dalla sua morte? Il sottotitolo della
mostra esprime bene il debito che la Veneranda Fabbrica vuole sciogliere nei
confronti del grande maestro, pittore, ceramista e scultore, fondatore dello
Spazialismo, di cui scrive nel 1947 insieme a Beniamino Joppolo, Giorgio
Kaisserlian, Milena Milani il Primo Manifesto.
In quegli anni si andava
formando una nuova estetica, le cui dimensioni erano il movimento, il colore, il
tempo e lo spazio. Immaginate quale poteva essere dunque l’incontro tra il
Duomo, con i suoi sei secoli di storia alle spalle, e un artista tutto impegnato
nella sua attivissima fucina teorica e pratica alla ricerca dei concetti della
nuova arte! Devo essere sincero che mi è difficile, anche personalmente,
comprendere quale sarebbe stato il mio giudizio se fossi stato arciprete
all’epoca. Anch’io avrei portato Lucio Fontana con grande simpatia sino alla
fine del concorso per la Quinta Porta del Duomo e poi, forse, come accadde,
spaventato dalla sua «novissima arte» avrei affidato l’esecuzione all’altro
vincitore ex aequo del concorso, lo scultore Luciano Minguzzi (la porta fu
terminata nel 1965). Il genio profetico di Lucio Fontana non poteva essere
compreso da chi non aveva ancora avuto il coraggio di inoltrarsi nell’estetica
contemporanea e si era fermato solo a darne uno sguardo fugace, senza capirne i
presupposti. Com’era capitato, nel 1488, al genio di Leonardo. Egli offrì una
soluzione del problema enorme e insolubile del tiburio del Duomo troppo
avveniristico per l’ingegneria allora praticata, ma ancora sprovvista del
calcolo numerico computazionale. Anche allora la Fabbrica preferì —
prudenzialmente, senza mancare di rispetto al genio vinciano — la soluzione più
normale e consolidata, suggerita dal maestro dello stesso Leonardo, Francesco di
Giorgio Martini.
Un secondo spunto di riflessione parte dal titolo della
mostra: L’arte novissima. In effetti è proprio questa ultimità, anzi direi
“futuribilità” che caratterizza le riflessioni artistiche prese dal movimento
dello Spazialismo, giungendo a rifondere in un nuovo universo concettuale — come
la teoria della relatività generale fece rispetto alla fisica tradizionale — le
dimensioni di spazio e tempo, di movimento e colore. Soprattutto la necessità
sta nel chiarire, dal punto di vista teoretico, il rapporto tra un’opera d’arte
e la sua “figurazione”. Essa, a dire il vero, nasce come problema
filosofico-ontologico, prima che artistico. E in tale contesto il dibattito
diventa eloquente. Alcuni degli stili artistici del passato sono stati
essenzialmente figurativi: il Rinascimento, il Barocco e il Realismo. Di contro,
molti movimenti più recenti, come l’Impressionismo o l’Espressionismo, pur
essendo almeno in parte figurativi, sono stati meno preoccupati di riprodurre la
mimesi della realtà, facendo prevalere la soggettività dell’artista che legge il
“reale”. Vi è anche un movimento artistico, definito figurativismo o figurativo
moderno, il cui stile pittorico e scultureo nel secondo dopoguerra ha voluto far
rinascere il realismo e la mimesi nell’opera artistica, opponendosi alle scelte
di forme d’arte concettuale, informale o performativa. Il dibattito non è ancora
completamente metabolizzato oggi giorno. Immaginate come poteva essere
controverso e dai toni aspri negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso,
ovvero negli anni della maturità artistica di Lucio Fontana.
Un terzo spunto
di riflessione è il rapporto della tradizione figurativa ecclesiale e l’arte
contemporanea, ben rappresentato dal dialogo interrotto tra Lucio Fontana e il
Duomo di Milano. Mentre la Chiesa ha sempre fruito del mutamento dei movimenti
artistici sino all’epoca moderna compresa, l’arte contemporanea non ha ancora
avuto modo di essere approfondita e occasioni per diventare il linguaggio della
cosiddetta arte sacra. Normalmente ne viene bandita. L’unica personalità che si
è posta in atteggiamento di comprensione e di ascolto dei movimenti artistici
dell’arte contemporanea è san Paolo vi. Dal momento che l’avvicinamento agli
artisti contemporanei cominciò a fiorire sin da quando Giovanni Battista Montini
era arcivescovo di Milano, sarebbe davvero importante ricostruire i rapporti e i
dialoghi tra questi e Lucio Fontana.
Mi limito a riportare una parte della
riflessione che il grande papa ebbe a pronunciare sabato 23 giugno 1973, nel
discorso in occasione dell’inaugurazione della collezione di Arte Religiosa
Moderna nei Musei Vaticani: «Non è vero, a noi sembra, che i criteri direttivi
dell’arte contemporanea siano segnati soltanto dall’impronta della follia, della
passionalità, dell’astrattismo puramente cerebrale e arbitrario; sì, l’Artista
moderno è soggettivo, cerca più in se stesso, che fuori di sé i motivi
dell’opera sua, ma proprio per questo è spesso eminentemente umano, è altamente
apprezzabile. Molti Artisti hanno sostituito la psicologia all’estetica; questa
è certamente un’evoluzione, spesso pericolosa e sconcertante, ma più spesso si
fa idonea a penetrare nel santuario dello spirito e ad essere da noi, alunni e
maestri di Spirito, maggiormente apprezzata. In ogni caso, codesta Arte, che
nasce più dal di dentro che dal di fuori, è documento che non solo ci interessa,
ma ci obbliga a conoscerla; vogliamo dire, a leggervi dentro l’anima
dell’Artista, anzi l’anima contemporanea, di cui egli, sciente o no, si fa
interprete e specchio sensibile. Diciamo di più: anche in codesta anima, quella
dell’uomo spontaneamente religioso (perché religiosi siamo tutti,
metafisicamente, in qualche misura), si dispiega talora qualche voce
estremamente originale, alcune volte con virgineo candore, altre volte con
straordinario vigore. Cioè diciamo apertamente: esiste ancora, esiste anche in
questo nostro arido mondo secolarizzato, e talvolta perfino guasto di
profanazioni oscene e blasfeme, una capacità prodigiosa (ecco la meraviglia che
andiamo cercando!) di esprimere, oltre l’umano autentico, il religioso, il
divino, il cristiano».
È appunto il messaggio che la Veneranda Fabbrica
vuole lanciare restaurando con amore e passione l’ultimo bozzetto in gesso che
Lucio Fontana eseguì per il concorso della Quinta Porta per il Duomo.
di Gianantonio Borgonovo
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09 dicembre 2019

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