Angelo senza ali
Sta piacendo molto un film libanese intitolato Ghadi, e presentato nei giorni scorsi al festival internazionale di Roma.
Ghadi (Emmanuel Khairallah) è un
bambino down amato dai genitori ma osteggiato dal resto della piccola cittadina
dove la famiglia vive perché emette grida moleste per gran parte del giorno. Suo
padre (Georges Khabbaz) si inventa allora qualcosa per farlo accettare: Ghadi è
in realtà un angelo che è a conoscenza di pregi e difetti dell’intera comunità e
può predire il futuro. E tutto ciò viene dimostrato con “apparizioni” serali del
bambino con tanto di ali. Detto fatto, la città comincia ad adorare e temere il
piccolo.
La regia di Amin Dora ha un qualcosa di dilettantesco nei ritmi e
nel montaggio, ma riesce in fin dei conti a divincolarsi abbastanza bene
nell’ambito di una messa in scena molto semplice che comprende in pratica solo
un paio di location. I personaggi coinvolti al contrario sono molti — un’intera
piccola comunità — e anche grazie ad attori simpatici e ben diretti l’idea del
racconto corale si può dire riuscita. Inoltre l’attore principale, Khabbaz,
autore anche della sceneggiatura, è bravo e riesce, in vari momenti, a far
ridere con poco. I pregi del film però finiscono qui. E i motivi di un suo
riscontro così favorevole rimangono dunque piuttosto misteriosi.
Come si
vede dall’assunto, le intenzioni sono teoricamente lodevoli, ma sono anche
esposte con una programmaticità che difficilmente può passare inosservata. C’è
una gran fretta di arrivare al dunque, insomma, e strappare il consenso dello
spettatore con poca fatica, ovvero attraverso la storia meno credibile che si
possa immaginare. Che un’intera comunità del Libano di oggi possa credere alla
messa in scena ordita dal padre del bambino, e arrangiata con luci e
altoparlanti che dovrebbero simulare luci divine e voci incorporee, è un’offesa
all’intelligenza del pubblico simile a quella che subiscono i
protagonisti.
Emilio Ranzato
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