Alle origini dell’iconografia sulla Passio Christi
Se un’arte propriamente cristiana nasce soltanto agli esordi del III secolo, quando simultaneamente nella domus ecclesiae di Dura Europos e nei cubicoli dei sacramenti del complesso catacombale di San Callisto appaiono le prime scene ispirate alle storie della Bibbia, per i primi tempi dobbiamo rilevare un repertorio augurale e positivo, che non si sofferma sulle scene violente del martirio e, tanto meno, sugli episodi della passio Christi.
Questa diffusa legge della “non violenza” sembra infranta dal programma decorativo di un cubicolo dipinto nel cuore delle catacombe di Pretestato sulla via Appia Pignatelli, non lontano dal complesso di San Sebastiano e dal comprensorio callistiano. Lo scrive Fabrizio Bisconti aggiungendo che il cubicolo, che mostra i caratteri della decorazione ricercata e preziosa, tipica di una committenza estremamente elevata, in perfetta sintonia con il livello di una comunità di alta estrazione sociale, che faceva capo alla più esclusiva necropoli cristiana di Roma, fu intercettato il 5 aprile del 1850, durante una faticosa escursione, dal padre gesuita Giuseppe Marchi insieme al suo giovane allievo Giovanni Battista de Rossi, che, di lì a poco, sarebbe divenuto il più impegnato e raffinato conoscitore delle catacombe romane e, più in generale, delle antichità cristiane dell’intero orbis christianus antiquus.
Venti anni più tardi, nel 1872, il de Rossi ricordò quella scoperta, rievocando con quale fatica negli affreschi, assai frammentari, fu possibile riconoscere «le scene dell’emorroissa guarita, della samaritana al pozzo, dei militi percuotenti con canna il capo coronato del Salvatore».
Piazza S. Pietro
15 dicembre 2019

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