
di Enrico Casale
Democracy ha conosciuto la violenza, la sopraffazione e la paranoia dei comandanti ribelli. Ha sceso tutti i gradini della spirale di disumanizzazione delle milizie che imperversano nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Ha fatto parte di un sistema che non lasciava spazio all’innocenza, al gioco e alla spensieratezza. Democracy è stato un bambino soldato nella Lord’s Resistance Army, l’esercito del warlord ugandese Joseph Kony. Non ce l’ha fatta ed è fuggito. Sulla sua strada ha incontrato i padri agostiniani che nella provincia di Haut-Uélé lavorano, attraverso il Centro Juvenat, per la riabilitazione dei ragazzi e delle ragazze arruolati con la forza nelle milizie ribelli che imperversano nella regione.
In Repubblica Democratica del Congo il fenomeno dei bambini-soldato resta una delle emergenze umanitarie più gravi e persistenti. Le zone orientali del paese, segnate da decenni di instabilità e conflitti armati, sono teatro di violazioni sistematiche dei diritti umani, in particolare a danno dei minori. Secondo il Rapporto annuale delle Nazioni Unite sui bambini e i conflitti armati di «Save the Children Italia», nel 2022 si sono registrate 3377 gravi violazioni contro i minori in questo stato africano, di cui quasi la metà (46 per cento) ha riguardato il reclutamento forzato di bambini, alcuni anche di soli 5 anni, da parte di forze o gruppi armati. I dati aggiornati al 2025 delineano una situazione drammatica. Nei soli mesi di gennaio e febbraio «Save the Children» ha denunciato il reclutamento di oltre quattrocento bambini nelle province orientali del Nord e del Sud Kivu. I minori vengono spesso strappati alla vita scolastica o rapiti per strada. Alcuni, appena quattordicenni, vengono immediatamente esposti a violenze fisiche e psicologiche e addestrati per il combattimento. Altri vengono destinati a ruoli di supporto, utilizzati come spie, guardie o portatori.
Non mancano episodi agghiaccianti. Alcuni piccoli sono stati sottoposti a rituali violenti basati su superstizioni locali. Tra questi, «Save the Children» segnala la pratica del taglio dello stomaco per testare presunti poteri magici prima dell’invio in prima linea.
«A Dungu, città di 147.000 abitanti, spesso teatro delle scorrerie degli uomini di Joseph Kony», informa Maurizio Misitano, direttore della Fondazione Agostiniani nel mondo, «membri dell’istituto hanno iniziato a incontrare i ragazzi e le ragazze fuggiti dalle milizie. Presto gli agostiniani si sono resi conto che c’era bisogno di un progetto strutturato per aiutarli nel processo di recupero psicofisico e nel reinserimento sociale. Così è nato il Centro Juvenat che, attualmente, ospita un centinaio di ragazzi e ne supporta col suo programma diurno almeno mille». La struttura, sorta nel 2020, ospita quei ragazzi che non hanno la possibilità di rientrare in famiglia. «Dopo un periodo di recupero psicofisico vengono formati al lavoro e si agevola il loro reinserimento sociale», spiega Misitano: «Al momento non esiste una struttura che accolga anche le ragazze ma esse possono comunque beneficiare di questo programma di formazione. Si era iniziato con corsi di informatica e falegnameria. Poi si sono aggiunti, su richiesta delle ragazze, corsi di sartoria e catering. Offriamo inoltre percorsi di formazione agricola grazie al fatto che gli agostiniani hanno una fattoria dove coltivano prodotti ortofrutticoli ma anche trasformati come il miele, le conserve, le farine».
Il progetto è attivo anche sotto il profilo energetico. Grazie alla donazione di una società italiana sono stati installati pannelli solari e nella fattoria vengono prodotti bricchetti con scarti vegetali che sostituiscono l’uso del cherosene e della legna, aiutando la lotta alla deforestazione. Ma la sfida è anche culturale. «Abbiamo aperto corsi di videomaker e teatro», continua il responsabile: «Sembrerà una follia. Attraverso queste forme espressive, i ragazzi hanno però la possibilità di raccontare la loro storia più facilmente. Da un punto di vista di recupero psicologico sono strumenti fortissimi. Stesso discorso per il teatro: inscenare la loro vita, alcune parti dell’esistenza di cui fanno fatica a parlare, è un elemento molto forte. Abbiamo allestito un cinema perché il nostro sogno è trasformare questo centro giovanile in un centro culturale per tutti coloro che vogliono incontrarsi in un ambiente sano, rispettoso e piacevole».
Non è però tutto semplice. I ragazzi e le ragazze che riescono a scappare o che vengono liberati sono disorientati e spesso hanno grande difficoltà a recuperare un atteggiamento socialmente accettabile. «Sono abituati alla violenza», osserva Misitano: «Alcuni di loro hanno passato anni nelle milizie subendo soprusi incredibili. Le ragazze sono quelle che hanno patito maggiormente perché quasi sempre sono utilizzate come schiave del sesso. Molte arrivano con bambini piccoli che sono figli di uno stupro. Nonostante ciò amano i loro figli e quindi, proprio per amore di essi, vogliono continuare a vivere. Purtroppo molte di loro portano le cicatrici delle violenze internamente ed esternamente».
I padri agostiniani, insieme alla Commissione per la giustizia e la pace della diocesi locale, hanno lanciato un programma radio per affrontare il problema dei bambini-soldato. «Inoltre — conclude il direttore della fondazione — la scuola degli agostiniani è stata ampliata grazie ai fondi della Conferenza episcopale italiana. Pensiamo di elaborare un programma specifico per gli ex ragazzi e le ex ragazze soldato. Va tenuto conto che questi giovani hanno atteggiamenti violenti che vanno gestiti. Gli insegnanti devono essere in grado di farlo per aiutarli a reinserirsi in una comunità pacifica. È un impegno complesso per il quale abbiamo bisogno di sostegno. Anche il più piccolo contributo può aiutarci».