· Città del Vaticano ·

Il Papa alla commemorazione del beato cardinale Hossu, martire in Romania

Apostolo della speranza
per dire no a ogni violenza

 Apostolo della speranza  per dire no a ogni violenza   QUO-127
03 giugno 2025

Il beato cardinale Iuliu Hossu è stato «uomo di dialogo» e «apostolo della speranza»: durante l’atto commemorativo presieduto ieri pomeriggio, lunedì 2 giugno, nella Cappella Sistina, Leone XIV ha definito così il porporato romeno, nato nel 1885, morto nel 1970 e beatificato nel 2019 a Blaj. Dal Pontefice è giunto anche l’invito a superare, sull’esempio del martire, «l’odio attraverso il perdono e a vivere la fede con dignità e coraggio», dicendo «“no” ad ogni violenza, ancor più se perpetrata contro persone inermi e indifese, come bambini e famiglie!». Ecco il discorso del Papa.

Cari fratelli e sorelle!

Ci siamo radunati oggi nella Cappella Sistina per commemorare, nell’Anno Giubilare dedicato alla speranza, un apostolo della speranza: il Beato Cardinale Iuliu Hossu, Vescovo greco-cattolico di Cluj-Gherla, pastore e martire della fede durante la persecuzione comunista in Romania. Oggi, in un certo senso, egli entra in questa Cappella, dopo che San Paolo VI, il 28 aprile 1969, lo creò Cardinale in pectore, mentre era in prigione per essere rimasto fedele alla Chiesa di Roma.

Saluto con gioia tutti i presenti: i rappresentanti della Chiesa Greco-Cattolica di Romania, le Autorità e, in modo particolare, l’Onorevole Silviu Vexler, Presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche in Romania.

Quello in corso è un anno speciale dedicato al Cardinale Iuliu Hossu, simbolo di fratellanza al di là di ogni confine etnico o religioso. Il suo processo di riconoscimento quale “Giusto tra le Nazioni”, avviato nel 2022, si basa sul suo impegno coraggioso di sostenere e salvare gli ebrei della Transilvania del Nord quando, tra il 1940 e il 1944, i nazisti attuarono il tragico piano di deportarli nei campi di sterminio.

Correndo rischi enormi per sé e per la Chiesa Greco-Cattolica, il Beato Hossu intraprese numerose azioni in favore degli ebrei, per evitarne la deportazione. Nella primavera del 1944, mentre a Cluj-Napoca (in ungherese Kolozsvár) e in altre città della Transilvania si preparava la loro ghettizzazione, egli mobilitò il clero e i fedeli greco-cattolici, pubblicando il 2 aprile 1944 una Lettera pastorale, di cui abbiamo testimonianza tramite Moshe Carmilly-Weinberger, ex Rabbino capo della Comunità ebraica di Cluj-Napoca, in cui lanciò un richiamo vibrante e profondamente umano: «Il nostro appello — scriveva — è rivolto a tutti voi, venerabili fratelli e diletti figli, affinché aiutiate gli ebrei non solo con i vostri pensieri, ma anche con il vostro sacrificio, sapendo che oggi non possiamo compiere un’opera più nobile di questo aiuto cristiano e romeno, nato da un’ardente carità umana. La prima preoccupazione del momento presente dev’essere quest’opera di soccorso». Secondo la testimonianza dello stesso ex Rabbino capo, il Cardinale Hossu, negli anni 1940-1944, contribuì a salvare dalla morte migliaia di ebrei della Transilvania settentrionale.

La speranza del grande Pastore è stata quella dell’uomo fedele, il quale sa che le porte del male non prevarranno contro l’opera di Dio.

La sua vita è stata una testimonianza di fede vissuta fino in fondo, nella preghiera e nella dedizione al prossimo. Fu un uomo di dialogo e un profeta di speranza, e Papa Francesco lo ha beatificato il 2 giugno 2019 a Blaj. In quell’occasione, nell’omelia, citò una sua frase come sintesi della sua vita: «Dio ci ha mandato in queste tenebre della sofferenza per donare il perdono e pregare per la conversione di tutti».

Queste parole esprimono l’essenza dello spirito dei martiri: fede incrollabile in Dio, senza odio ma con la misericordia che trasforma la sofferenza in amore verso i persecutori. Esse rimangono ancora oggi un invito profetico a superare l’odio attraverso il perdono e a vivere la fede con dignità e coraggio.

Vicina alle sofferenze del popolo ebraico, culminate nel dramma dell’Olocausto, la Chiesa sa bene cosa significano dolore, emarginazione e persecuzione. Proprio per questo sente l’impegno a costruire una società incentrata sul rispetto della dignità umana come esigenza della coscienza.

Il messaggio del Cardinale Hossu è quanto mai attuale. Ciò che egli ha fatto per gli ebrei della Romania, le azioni che ha compiuto per proteggere il prossimo, nonostante ogni rischio e pericolo, lo mostrano come modello di uomo libero, coraggioso e generoso fino al sacrificio supremo. Ecco perché il suo motto “La nostra fede è la nostra vita” dovrebbe diventare il motto di ciascuno di noi. Auspico che il suo esempio, che ha anticipato i contenuti poi espressi nella Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II — di cui è prossimo il sessantesimo anniversario —, come pure la vostra amicizia, siano una luce per il mondo di oggi: diciamo “no” alla violenza, ad ogni violenza, ancor più se perpetrata contro persone inermi e indifese, come bambini e famiglie!

Che Dio benedica ciascuno di voi e i vostri cari!

 

Uomo di Dio senza compromessi


Il suono struggente di un violino e la lettura di brani delle memorie del beato Iuliu Hossu — testimonianze della sua fede e della sua libertà interiore, nonostante la persecuzione del regime comunista in Romania — hanno scandito, nel pomeriggio di ieri, 2 giugno, nella Cappella Sistina, l’atto commemorativo presieduto da Leone XIV nell’Anno nazionale che il Parlamento di Bucarest ha voluto dedicare al porporato nel 140° anniversario della  nascita (1885). Erano presenti, tra gli altri, i cardinali Koch, Gugerotti e Koovakad, prefetti rispettivamente dei Dicasteri per la Promozione dell’unità dei cristiani, per le Chiese Orientali e per il Dialogo interreligioso.

Iuliu Hossu fu vescovo di Gherla dei Romeni dal 1917 e poi di Cluj-Gherla dei Romeni dal 1930 fino alla morte. Per il suo impegno pastorale in favore della Transilvania nell’ottobre 1948 fu arrestato in odium fidei  insieme agli altri sei vescovi greco-cattolici. Una volta scarcerato, cercò di riorganizzare le strutture soppresse della Chiesa cattolica, ma fu costretto dalle autorità al domicilio coatto, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1970. L’anno prima, Paolo VI lo aveva creato cardinale in pectore , nomina resa pubblica solo nel 1973. Nel 2019 Hossu è stato beatificato a Blaj da Papa Francesco, insieme agli altri sei presuli arrestati con lui.

Hanno preceduto il discorso di Leone XIV, due saluti: il primo  di Silviu Vexler, presidente della Federazione delle Comunità ebraiche romene: tra il 1940 e il 1944, infatti, Hossu contribuì a salvare dalla morte migliaia di ebrei  nascondendoli nella cattedrale. Per questo, nel 2022, è stato avviato il processo di riconoscimento quale «Giusto tra le Nazioni».

Egli «mise in pericolo sé stesso, la sua comunità e la sua Chiesa» per cercare di salvare persone a lui sconosciute, ha detto Vexler, definendo Hossu «uno tzadik , una persona giusta che rifiutò ogni compromesso» e ribadendo l’impegno della Federazione ebraica per realizzare la pace, al fianco della Chiesa. 

Quindi, è stata la volta del messaggio del cardinale Mureşan, arcivescovo maggiore di Făgăraş şi Alba Iulia dei Romeni. Nel testo — letto dal vescovo ausiliare Cristian Dumitru Crişan  — il capo della Chiesa greco-cattolica romena ha messo in luce come la vita e il martirio del beato parlino della sua «amicizia con Dio, con i fratelli e con il prossimo, al di là della religione o dell’etnia».

«Uomo di Dio — ha aggiunto l’arcivescovo maggiore — il beato ha lasciato in eredità la lotta ininterrotta per la verità e per la giustizia», insieme alla forza di «perdonare e amare».

L’atto commemorativo era stato preceduto, nel pomeriggio di domenica 1° giugno, dalla Divina Liturgia in rito bizantino, presieduta all’altare della Cattedra della basilica Vaticana dal vescovo Claudiu-Lucian Pop, eparca di Cluj-Gherla. Tra i concelebranti anche il cardinale Gugerotti e l’arcivescovo Giampiero Gloder, nunzio apostolico in Romania e in Moldova.