La forza estroversa, debole

di Andrea Monda
La gioia di Dio è il motore dell’azione del cristiano, della sua conversione missionaria. Rivolgendosi ai nuovi presbiteri Papa Leone, nella sua omelia densa e ricca di immagini e spunti molto significativi, ha fatto riferimento ad una “gioia non rumorosa”: «Dio non si è stancato di radunare i suoi figli, pur diversi, e di costituirli in una dinamica unità» ha detto, precisando che «Non si tratta di un’azione impetuosa, ma di quella brezza leggera che ridiede speranza al profeta Elia nell’ora dello scoraggiamento (cfr. 1 Re 19, 12). Non è rumorosa la gioia di Dio, ma realmente cambia la storia e ci avvicina gli uni agli altri». L’immagine della teofania sul monte Oreb era stata già citata da Papa Leone proprio all’indomani della sua elezione quando, parlando ai cardinali, ha affermato che «a noi spetta farci docili ascoltatori della sua voce e fedeli ministri dei suoi disegni di salvezza, ricordando che Dio ama comunicarsi, più che nel fragore del tuono e del terremoto, nel “sussurro di una brezza leggera” (1Re 19, 12) o, come alcuni traducono, in una “sottile voce di silenzio”. È questo l’incontro importante, da non perdere, e a cui educare e accompagnare tutto il santo Popolo di Dio che ci è affidato», un concetto poi ripreso il 12 maggio nella sua prima udienza dedicati ai giornalisti: «Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra. Una comunicazione disarmata e disarmante ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana».
Papa Leone sceglie la via silenziosa, discreta, la via paradossale della debolezza. Questa via per la Chiesa non si realizza solo nell’atto del comunicare ma nel semplice fatto di esistere, perché la Chiesa esiste in quanto comunica, le due cose coincidono. Ed è questo il forte legame con la terra, per cui la Chiesa, voluta da Dio, è un ponte tra la terra e il cielo perché come ha esclamato nel primo saluto appena eletto Papa: «Uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti! Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di Lui come del ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore». Su questo tema del legame con la terra il Papa è tornato oggi parlando ai nuovi presbiteri: «Essere di Dio — servi di Dio, popolo di Dio — ci lega alla terra: non a un mondo ideale, ma a quello reale. Come Gesù, sono persone in carne e ossa quelle che il Padre mette sul vostro cammino». La consacrazione a sacerdoti, ha sottolineato il Papa, non va vissuta come un privilegio ma come un dono per gli altri, in modo “estroverso” per evitare quel rischio da cui tante volte Papa Francesco ha messo in guardia la Chiesa, quella autoreferenzialità che «spegne il fuoco della missione. La Chiesa è costitutivamente estroversa, come estroverse sono la vita, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù».
Sacerdoti deboli ma forti nella loro “estroversione”, nell’essere aperti, accoglienti, dono uno per gli altri. Questo è la forza, il “potere” del cristiano a cui Gesù «ha dato il potere di diventare figli di Dio. Non cercate, non cerchiamo altro potere!». È il paradosso della Chiesa e dei suoi ministri che non sono mai padroni ma custodi della missione, che è sempre di Gesù: «Egli è Risorto, dunque è vivo e ci precede. Nessuno di noi è chiamato a sostituirlo. Il giorno dell’Ascensione ci educa alla sua presenza invisibile. Egli si fida di noi, ci fa spazio». Dio non ama occupare spazi ma si “ritira” per generare il mondo e le sue creature, a questo esercizio d’umiltà è chiamato anche il cristiano che deve fare spazio agli altri, «ad ogni creatura, cui il Risorto è vicino e in cui ama visitarci e stupirci. Il popolo di Dio è più numeroso di quello che vediamo. Non definiamone i confini».
Ecco il potere debole della Chiesa che non ragiona secondo le logiche dei poteri mondani; il Papa cita San Paolo: «“Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana” (2 Cor 5, 16): tutto ciò che ai nostri occhi si presenta infranto e perduto ci appare ora nel segno della riconciliazione».
Questo potere svuotato, nudo, ferito, è un grande potere, il più grande di tutti i poteri perché è radicato nell’appartenere a Dio: «L’amore del Cristo infatti ci possiede», cari fratelli e sorelle! È un possesso che libera e che ci abilita a non possedere nessuno. Liberare, non possedere. Siamo di Dio: non c’è ricchezza più grande da apprezzare e da partecipare. È l’unica ricchezza che, condivisa, si moltiplica». Ed è così: siamo veramente padroni di qualcosa quando abbiamo la forza di perderla e metterla a servizio degli altri, di condividerla cioè moltiplicarla. Una forza non rumorosa ma invincibile.