· Città del Vaticano ·

L'intervista
I ricordi della figlia Elettra

Le sue invenzioni
per salvare l’umanità

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27 aprile 2024

Quando Guglielmo Marconi morì, il 20 luglio 1937 nella casa di famiglia a via dei Condotti a Roma, la piccola Elettra aveva 7 anni: figlia dell’inventore della radio e della contessa Maria Cristina Bezzi-Scali, sposata in seconde nozze nel 1927. Elettra testimonia ancora oggi la grandezza e la genialità del padre, con i suoi racconti insostituibili vissuti in prima persona. L’abbiamo incontrata nel salotto della sua casa, dove Marconi ha abitato durante i suoi anni romani e dove ha realizzato alcune delle imprese più memorabili, come lanciare il segnale radio che accese, il 12 ottobre 1931, la statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro nel giorno dell’inaugurazione.

Principessa, chi era Guglielmo Marconi?

Guglielmo Marconi era una personalità molto complessa. Soprattutto era molto intelligente ed ebbe un’ispirazione. Era attratto dall’elettricità! Nelle onde elettriche lui vedeva le visioni del futuro. Sapeva che potevano essere usate e sviluppate. Il padre gli aveva regalato una barca a vela quando viveva a Livorno. Con la madre e il fratello vedeva queste navi, questi velieri che si allontanavano senza poter chiamare aiuto. Se c’erano tempeste e naufragi non potevano chiamare soccorso. I marinai non avevano notizie delle famiglie per mesi durante viaggi lunghissimi. E allora mio padre ha avuto l’idea di usare quelle onde per poter salvare le vite di queste persone e di comunicare nello spazio a grandi distanze senza fili. Prima c’erano solo i cavi. Tutto il lavoro suo è stato di fisica, matematica, chimica. Era anche una persona molto leale. Aveva avuto fin dall’infanzia un’educazione alla rettitudine e alla sincerità e per tutta la vita ha seguito questa linea.

Suo padre era un autodidatta. Come faceva i primi esperimenti con le onde?

Ha incominciato a 14 anni. Li faceva in modo rudimentale. Costruiva le antenne con i manici di scopa, i coltelli e le forchette. Usava qualsiasi cosa per raggiungere lo scopo. Era pieno di immaginazione. Era molto originale in questo.

Ci può ricordare come avvenne la creazione della radio?

Io sono nata molto dopo! (ride). Ne ho sempre sentito parlare! Sono cresciuta con mio padre. Me ne ha parlato per tutta la sua vita. Nel 1901 ha fatto la prima trasmissione senza fili attraverso l’Atlantico ma è nel 1895 che fece la prima trasmissione dalla campagna vicino Bologna, nella casa dei genitori di mio padre, da quello che è ora Sasso Marconi attraverso la collina di fronte. C’è la storia, vera, dello sparo del fucile. Lui ha creato questo apparecchio trasmittente e ha mandato il fratello e un contadino con il ricevente oltre la collina. Ha lanciato tre punti dell’alfabeto Morse e, quando il fratello ha sentito il segnale, il contadino ha sparato con il fucile per fargli capire che era arrivato il segnale. Aveva 21 anni e i genitori hanno capito subito. La madre, che lo adorava e lo appoggiava, credeva ciecamente nel figlio ed è andato con lui in Inghilterra, a Londra. Era irlandese e nel 1895 l’Irlanda era parte del Regno Unito. A Londra c’era il direttore delle poste inglesi, sir William Preece, che quando ha visto l’invenzione ne ha capito subito l’importanza e gli ha detto di rimanere con loro perché in Italia non lo avevano capito. Lui non ha perso tempo. È stato molto grato all’Inghilterra, però ha scelto di essere italiano.

Che padre era Guglielmo Marconi?

Era un padre molto affettuoso, molto divertente, aveva umorismo. E soprattutto era intelligentissimo. Mi trattava come una persona grande, mi faceva crescere. Mi dava responsabilità. Voleva che io seguissi i suoi consigli. Infatti quando ho perso mio padre è stata più di una mutilazione.

Invece come era il rapporto di Marconi con sua madre Maria Cristina. Che coppia erano?

Erano molto innamorati. Era un grande amore. Sempre in accordo, in armonia. Avevano le stesse passioni. Amavano le bellezze della natura, il mare. Passioni che poi hanno trasmesso anche a me. E la musica. Avevano una grande passione per le bellezze artistiche. Si somigliavano molto. Non soffrivano il mal di mare perché la loro era una casa galleggiante. Un laboratorio. Era lo yacht “Elettra” che mio padre comprò alla fine della guerra, nel 1919. Quando sono nata si era sposato con mia madre e ha voluto chiamarmi come il suo bellissimo yacht. Io sono felice di questo nome!

Lei sulla nave “Elettra” c’è stata. A quali esperimenti ha assistito insieme a suo padre? Dove la portava?

Lui mi spiegava la navigazione, i venti, le correnti. Navigavamo. Ho imparato tantissimo da mio padre, anche moralmente. Sulla nave era il periodo che stava di più con me e con me e mia madre. Eravamo sempre insieme. Mi diceva: la sincerità e la rettitudine sono le cose che valgono di più nella vita. Mi incoraggiava a realizzare i miei desideri. Era molto giovane. Preferiva parlare con i giovani che con le persone adulte.

Lei ha detto che l’intuizione di Marconi avvenne per cercare di aiutare le navi. C’è un evento celebre che è quello del “Titanic” in cui le invenzioni di suo padre furono decisive.

Attraverso gli eroici marconisti che col radiotelegrafo hanno lanciato un “sos” e chiamato aiuto! Fortuna che la nave “Carpathia” era a tre ore e mezza di navigazione distante. Purtroppo l’altra nave vicina era la “Californian”, che era a mezz’ora, ma il marconista era uno solo e alle 8 era andato a dormire. La prima nave che è stata salvata con l’invenzione della radio di mio padre è stata però la “Republic” nel 1909, l’anno che poi ha ricevuto il premio Nobel. Lì furono duemila i passeggeri, tutti salvati dalla radio.

Le ha raccontato qualcosa del premio Nobel? Era contento? Come ha accolto la notizia?

Sì, ma poi l’ha lasciato prima che finissero le cerimonie, per il lavoro che faceva. Lui lasciava sempre per il lavoro, che era la cosa più importante. Quindi era molto grato di aver ricevuto il premio Nobel ma la sua passione era il lavoro.

Fra le emittenti che Marconi ha fondato, tra cui la Bbc e l’antesignana della Rai, c’è anche la Radio Vaticana.

La Radio Vaticana! Ci teneva moltissimo. Era il periodo più lungo che lui è stato a Roma, con mia madre e con me piccolina. Proprio per costruire la Radio lui stesso. Seguiva i lavori ogni giorno. Pio xi gli aveva chiesto di costruire questa radio perché poi la voce del Papa sarebbe andata in tutto il mondo. Ha accettato con grande entusiasmo e poi è diventato molto amico, ma già lo era, di Pio xi , anch’egli appassionato di fisica e che voleva essere tenuto al corrente. E mio padre voleva essere vicino al Papa quando la costruiva. Ci sono tante fotografie, c’è anche via Guglielmo Marconi in Vaticano dove passeggiava. Era molto felice dell’inaugurazione, quando il Pontefice per la prima volta ha potuto dare la benedizione Urbi et Orbi.

Anche lei andava in visita da Pio xi .

Ero piccolissima! Sono sempre stata molto legata al Vaticano perché Pio xi voleva sempre incontrare nelle udienze private mio padre, con mia madre e “la piccola Elettra”. Andavo sempre con i miei genitori a far visita al Papa. Per me era diventata una cosa naturale. Io vedevo il Papa vestito di bianco, mio padre che sorrideva e mia madre che si disperava perché ero vivacissima.

Fra le tante invenzioni e intuizioni che ebbe suo padre, ce ne sono alcune che prefiguravano la vita quotidiana. Penso al cellulare, al radar e alle sue implicazioni. Ci può raccontare qualcosa di queste invenzioni?

Il radar a bordo dello yacht “Elettra”. Ci chiamava: «Elettra! Cristina! Aiutate a mettere delle lenzuola bianche intorno ai vetri delle finestre della cabina del comandante!». Lui con un apparecchio prima aveva collegato due boe, lasciando uno spazio che lo yacht “Elettra” poteva attraversare di prua. Con questo apparecchio “vedeva” a distanza e diede ordine al timoniere di far passare il bellissimo yacht, che è riuscito a non toccare le boe. Le lenzuola coprivano tutto. Non c’era alcuna visibilità, come con la nebbia, come se fosse notte. Lui anche prima di fare questi esperimenti parlava con mia madre e con me, soprattutto, dicendo che la nebbia ostacola la navigazione e poi provoca anche dei naufragi: persone che muoiono perché ci si scontra improvvisamente. Era molto contento. Però lui aveva creato la compagnia “Marconi” in Inghilterra e quindi diede questa invenzione all’Inghilterra.

Un’altra invenzione che ha anticipato i tempi è quella del telefono cellulare.

Il primo telefono cellulare era proprio per il Papa! Aveva in macchina questo enorme cellulare, un grande apparecchio con cui poteva parlare con Castel Gandolfo, quando era in viaggio, o con il Vaticano. Ho conosciuto in America Martin Cooper, che è il creatore del telefono cellulare, e lui mi ha chiesto di accompagnarlo per spiegargli quello che diceva mio padre: «Verrà il giorno in cui le persone porteranno una scatoletta in tasca con la quale potranno parlare con il fidanzato, con la famiglia, con la banca».

Quale può essere il messaggio che darebbe oggi suo padre ai giovani, alle persone nel mondo?

Entusiasmo, coraggio, tenacia, insistere quando c’è la possibilità di raggiungere uno scopo. Lui aveva molta fede in Dio. È Dio, diceva, che mette a disposizione di noi uomini queste forze della natura per usarle, per salvare le vite e per migliorarle. Era sempre grato a Dio per tutta questa bellezza, che io vedevo anche navigando, questi tramonti. E mio padre diceva sempre: «Le mie invenzioni sono per salvare l’umanità e non per distruggerla!». (michele raviart)