· Città del Vaticano ·

L’attualità di Pio VII riproposta da Francesco ai fedeli delle diocesi legate alla memoria del “Papa martire”

«Quanto più la Chiesa
è contestata tanto più rivela
la sua forza»

 «Quanto più la Chiesa è contestata tanto più rivela la sua forza»  QUO-094
25 aprile 2024

Cesena gli diede i natali, Tivoli e Imola lo ebbero come vescovo, Savona lo custodì per tre anni durante la prigionia napoleonica: circa 2000 pellegrini provenienti da queste diocesi italiane hanno vissuto una giornata memorabile sabato 20 aprile, in Vaticano. Giunti per fare memoria dell’illustre concittadino e pastore, Pio vii, hanno avuto la gioia di incontrare Francesco in Aula Paolo vi per una udienza a loro dedicata, e accanto alla tomba di Papa Chiaramonti nella basilica di San Pietro celebrare la messa presieduta dal cardinale arciprete Mauro Gambetti, originario della Romagna.

Accompagnati dai loro vescovi — insieme a chi scrive c’erano Mauro Parmeggiani, di Tivoli e Palestrina, Giovanni Mosciatti, di Imola, e Calogero Marino, di Savona-Noli — hanno reso omaggio alla grande figura del Pontefice prigioniero e difensore dei diritti della Chiesa davanti allo strapotere imperiale.

La figura di Pio vii emerge con sempre maggior splendore man mano che la si studia e la si approfondisce. Egli fu uomo di profonda fede cattolica, monaco di genuine virtù benedettine, vescovo animato da indefessa donazione di sé al popolo a lui affidato, Papa martire per aver difeso, con fermezza e dolcezza al tempo stesso, i diritti della Chiesa davanti ai soprusi e alle ingerenze del potere imperiale. In ragione delle persecuzioni fisiche e morali inferte alla sua persona, prima a Savona e poi a Fontainebleau, con gli inevitabili faticosi spostamenti in condizioni a dir poco umilianti, è opinione ormai comune che egli abbia meritato la corona del martirio.

Uno storico cesenate riporta che «dopo l’esilio del figlio, la madre di Napoleone dovette lasciare la Francia e si recò a Roma a bussare alla porta di Pio vii: che l’accolse con onore e le assegna un palazzo nei pressi di piazza Venezia. In una lettera del 27 maggio 1818 al Segretario di Stato, cardinale Ercole Consalvi, la madre di Napoleone scrive: “La sola consolazione che mi sia concessa è quella di sapere che il Santissimo Padre dimentica il passato per ricordare solo l’affetto che dimostra per tutti i miei. Noi non troviamo appoggio ed asilo se non nel governo pontificio, e la nostra riconoscenza è grande come il beneficio che riceviamo”. Anche questo era Chiaramonti» (M. Mengozzi).

L’episodio da solo testimonia quanto sia stata opportuna la sottolineatura che Papa Francesco ha fatto ai pellegrini giunti a Roma, ricordando la misericordia del Pontefice cesenate: «Era anche — ha detto — un uomo di carità, come dimostrò poi, in ambito diverso, nei confronti dei suoi persecutori: pur denunciandone senza mezzi termini gli errori e i soprusi, cercò di mantenere aperto con loro un canale di dialogo e soprattutto offrì sempre il suo perdono. Fino a concedere ospitalità negli stati della Chiesa, dopo la restaurazione, proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia. Grande!».

È poi il caso di ricordare ancora una volta il famoso episodio della sua cattura al Quirinale la notte tra il 5 e il 6 luglio 1809 e le parole ferme e decise pronunciate davanti al generale Radet: «Non posso. Io non ho agito che dopo aver consultato lo Spirito Santo. Mi taglierete piuttosto in pezzetti ma non ritratterò niente di quel che ho fatto». E ancora: «Non posso, non debbo e non voglio: ho promesso a Dio di conservare alla Chiesa i suoi stati ed i suoi diritti e non mancherò mai al pronunciato mio giuramento». E infine: «Ho detto che veruna cosa mi rimuoverà. Eccomi pronto a versare l’ultima stilla del mio sangue, ed a perdere in quest’istante la vita, prima di violare la promessa da me fatta a Dio».

La prigionia a Savona: «Il palazzo dove risiedeva era sorvegliato da un contingente di 200 armigeri, mentre nella vicina roccaforte stazionavano altri 400 militari; non aveva alcuna libertà; poteva soltanto assistere alla messa da una griglia prospiciente l’interno della cattedrale annessa all’episcopio; non poteva scrivere; era addirittura spiato in camera da letto tramite un foro nella parete, tutt’ora visibile e impressionante (...) Il Papa si considerò prigioniero, rifiutò di uscire, e nella solitudine ritrovò la disciplina di vita del “povero monaco Chiaramonti”, coltivando un senso di rassegnazione e una speranza che non escludevano fermezza di principi e tenacia nella difesa dei diritti della Santa Sede. Furono pochi coloro che in Italia, in Francia e in Europa provarono turbamento per la sorte che l’imperatore aveva riservato al Papa. Anche l’Austria tentò di piegare la resistenza del Pontefice, ma invano; all’inviato di Metternich che premeva per convincerlo, Chiaramonti rispose: “Quando le opinioni sono fondate sopra la voce della coscienza e sul sentimento dei propri doveri, diventano irremovibili, e non vi è forza fisica al mondo che possa, alla lunga, lottare con una forza morale di questa natura”» (Mengozzi).

Sempre nella linea della misericordia è significativo che Pio vii, ancora vescovo di Imola, abbia invitato i suoi diocesani a usare il perdono verso gli invasori austriaci: «Furono pubblici i delitti, e pubblica ancora esser deve la penitenza, sempre in edificazione [...] Io non vorrei che vi trasportasse ad odiare i vostri fratelli traviati, che si lasciarono sedurre dalla novità della dottrina, dall’incanto delle passioni, e molto più dai tristi incantatori. Abbiate pure in odio l’iniquità, ma separate la persona dal delitto. I vostri prossimi in quanto sono prossimi, sebbene peccatori, possono avere parte con voi nell’eterna eredità, e sotto questo aspetto dovete amarli» (cardinale Battista Gregorio Chiaramonti, Lettera pastorale, 25 luglio 1799). Fermezza nella condanna del peccato, ma mitezza nell’accoglienza del peccatore! Un principio evangelico che anche in Pio vii ha trovato piena accoglienza.

Poi uno zelo attento a conservare la memoria del passato, per esempio, preoccupandosi di riportare la salma del suo predecessore, Papa Braschi Pio vi anch’egli cesenate, a Roma e tributargli degni funerali e gli onori dovuti. «Dietro pressante richiesta di Pio vii, monsignor Giuseppe Spina, arcivescovo di Corinto ed esecutore testamentario di Papa Braschi, riceveva l'incarico di rimpatriare le spoglie di Pio vi; esumata il 25 dicembre 1801, la salma del Pontefice lasciava Valence l’11 gennaio 1802 e raggiungeva Roma via mare; le solenni esequie, presiedute da Chiaramonti, si svolsero a San Pietro il 17 e 18 febbraio; una statua di Canova, per la cui committenza non era estraneo lo stesso Papa, posta al centro della cripta dei Papi, esaltava per i posteri la figura del “Papa martire” della Rivoluzione francese» (M. Mengozzi).

Uno zelo pastorale, quello di Pio vii, che la persecuzione invece di fiaccare, rafforzò, rivitalizzando la Chiesa stessa. Attualissime le parole che pronunciò davanti ai cardinali dopo la liberazione dalla prigionia francese: «Tale è la natura della santissima istituzione cui apparteniamo: quanto più viene contestata, tanto più energicamente rivela la sua forza; più è conculcata e più in alto si estolle» (Optatissimus, tandem, 26 settembre 1814).

di Douglas Regattieri
Vescovo di Cesena-Sarsina