· Città del Vaticano ·

L’incoraggiamento del Papa all’Azione Cattolica italiana

A braccia aperte

 A braccia aperte   QUO-094
25 aprile 2024

Con la «cultura dell’abbraccio» si prevengono i conflitti


C’è un abbraccio che salva, quello vissuto nella dimensione della fede. Infatti, al centro dell’esistenza del cristiano c’è proprio «l’abbraccio misericordioso» di Dio che salva. Così Papa Francesco, questa mattina, in piazza San Pietro ai circa sessantamila membri e amici dell’Azione Cattolica Italiana provenienti da tutto il Paese. All’origine delle guerre, ha fatto notare il Pontefice, ci sono spesso «abbracci mancati o abbracci rifiutati», a cui seguono «pregiudizi, incomprensioni, e sospetti, fino a vedere nell’altro un nemico».

Cari amiche e amici dell’Azione Cattolica, buongiorno e benvenuti!

Grazie per la vostra presenza. Vi saluto con affetto, in particolare il Presidente nazionale e l’Assistente generale. Poco fa, passando in mezzo a voi, ho incrociato sguardi pieni di gioia, pieni di speranza. Grazie per questo abbraccio così intenso e bello, che da qui vuole allargarsi a tutta l’umanità, specialmente a chi soffre. Mai dobbiamo dimenticare le persone che soffrono.

Il titolo che avete scelto per il vostro incontro è infatti “A braccia aperte”. L’abbraccio è una delle espressioni più spontanee dell’esperienza umana. La vita dell’uomo si apre con un abbraccio, quello dei genitori, primo gesto di accoglienza, a cui ne seguono tanti altri, che danno senso e valore ai giorni e agli anni, fino all’ultimo, quello del congedo dal cammino terreno. E soprattutto è avvolta dal grande abbraccio di Dio, che ci ama, ci ama per primo e non smette mai di stringerci a sé, specialmente quando ritorniamo dopo esserci perduti, come ci mostra la parabola del Padre misericordioso (cfr. Lc 15, 1-3.11-32). Cosa sarebbe la nostra vita, e come potrebbe realizzarsi la missione della Chiesa senza questi abbracci? Perciò vorrei proporvi, come spunti di riflessione, tre tipi di abbraccio: l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva e l’abbraccio che cambia la vita.

Primo: l’abbraccio che manca. Lo slancio che oggi esprimete in modo così festoso non è sempre accolto con favore nel nostro mondo: a volte incontra chiusure, a volte incontra resistenze, per cui le braccia si irrigidiscono e le mani si serrano minacciose, divenendo non più veicoli di fraternità, ma di rifiuto, di contrapposizione, anche violenta a volte, un segno di diffidenza nei confronti degli altri, vicini e lontani, fino a portare al conflitto. Quando l’abbraccio si trasforma in un pugno è molto pericoloso. All’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o abbracci rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni, sospetti, fino a vedere l’altro un nemico. E tutto ciò purtroppo, in questi giorni, è sotto i nostri occhi, in troppe parti del mondo! Con la vostra presenza e con il vostro lavoro, invece, voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita.

Il che ci porta al secondo passaggio. Il primo era l’abbraccio che manca, adesso vediamo l’abbraccio che salva. Già umanamente abbracciarsi significa esprimere valori positivi e fondamentali come l’affetto, la stima, la fiducia, l’incoraggiamento, la riconciliazione. Ma diventa ancora più vitale quando lo si vive nella dimensione della fede. Al centro della nostra esistenza, infatti, c’è proprio l’abbraccio misericordioso di Dio che salva, l’abbraccio del Padre buono che si è rivelato in Cristo, e il cui volto è riflesso in ogni suo gesto — di perdono, di guarigione, di liberazione, di servizio (cfr. Gv 13, 1-15) — e il cui svelarsi raggiunge il suo culmine nell’Eucaristia e sulla Croce, quando Cristo offre la sua vita per la salvezza del mondo, per il bene di chiunque lo accolga con cuore sincero, perdonando anche ai suoi crocifissori (cfr. Lc 23, 34). E tutto questo ci è mostrato perché anche noi impariamo a fare lo stesso. Perciò, non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, paradigma della vita e cuore del Vangelo, modello di radicalità dell’amore, che si nutre e si ispira al dono gratuito e sempre sovrabbondante di Dio (cfr. Mt 5, 44-48). Fratelli e sorelle, lasciamoci abbracciare da Lui, come bambini (cfr. Mt 18, 2-3; Mc 10, 13-16), lasciamoci abbracciare da Lui come bambini. Ognuno di noi ha nel cuore qualcosa di bambino che ha bisogno di un abbraccio. Lasciamoci abbracciare dal Signore. Così, nell’abbraccio del Signore impariamo ad abbracciare gli altri.

Andiamo al terzo passo. Primo, l’abbraccio che manca; secondo, l’abbraccio che salva; terzo, l’abbraccio che cambia la vita. Un abbraccio può cambiare la vita, mostrare strade nuove, strade di speranza. Sono molti i santi nella cui esistenza un abbraccio ha segnato una svolta decisiva, come San Francesco, che lasciò tutto per seguire il Signore dopo aver stretto a sé un lebbroso, come lui stesso ricorda nel suo testamento (cfr. FF 110, 1407-1408). E se questo è stato valido per loro, lo è anche per noi. Ad esempio per la vostra vita associativa, che è multiforme e trova il denominatore comune proprio nell’abbraccio della carità (cfr. Col 3, 14; Rm 13, 10), unico contrassegno essenziale dei discepoli di Cristo (cfr. Lumen gentium, 42), regola, forma e fine di ogni mezzo di santificazione e di apostolato. Lasciate che sia essa a plasmare ogni vostro sforzo e servizio, perché possiate vivere fedeli alla vostra vocazione e alla vostra storia (cfr. Discorso all’Azione Cattolica, 30 aprile 2017).

Amici, voi sarete tanto più presenza di Cristo quanto più saprete stringere a voi e sorreggere ogni fratello bisognoso con braccia misericordiose e compassionevoli, da laici impegnati nelle vicende del mondo e della storia, ricchi di una grande tradizione, formati e competenti in ciò che riguarda le vostre responsabilità, e al tempo stesso umili e ferventi nella vita dello spirito. Così potrete porre segni concreti di cambiamento secondo il Vangelo a livello sociale, culturale, politico ed economico nei contesti in cui operate.

Allora, fratelli e sorelle, la “cultura dell’abbraccio”, attraverso i vostri cammini personali e comunitari, crescerà nella Chiesa e nella società, rinnovando le relazioni familiari ed educative, rinnovando i processi di riconciliazione e di giustizia, rinnovando gli sforzi di comunione e di corresponsabilità, costruendo legami per un futuro di pace (cfr. Discorso al Consiglio Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 30 aprile 2021).

E in proposito vorrei aggiungere un ultimo pensiero. Vedervi qui tutti insieme — ragazzi, famiglie, uomini e donne, studenti, lavoratori, giovani, adulti e “adultissimi” (come chiamate quelli della mia generazione) — mi fa venire in mente il Sinodo. E penso al Sinodo in corso, che giunge alla sua terza tappa, la più impegnativa e importante, quella profetica. Ora si tratta di tradurre il lavoro delle fasi precedenti in scelte che diano slancio e vita nuova alla missione della Chiesa nel nostro tempo. Ma la cosa più importante di questo Sinodo è la sinodalità. Gli argomenti, i temi, sono per portare avanti questa espressione della Chiesa, che è sinodalità. Per questo c’è bisogno di uomini e donne sinodali, che sappiano dialogare, interloquire, cercare insieme. C’è bisogno di gente forgiata dallo Spirito, di “pellegrini di speranza”, come dice il tema del Giubileo ormai vicino, uomini e donne capaci di tracciare e percorrere sentieri nuovi e impegnativi. Vi invito dunque ad essere “atleti e portabandiera di sinodalità” (cfr. ibid.), nelle diocesi e nelle parrocchie di cui fate parte, per una piena attuazione del cammino fatto fino ad oggi.

Nei mesi scorsi avete vissuto, nelle vostre comunità, momenti di intensa esperienza associativa, con il rinnovo dei responsabili a livello diocesano e parrocchiale, e questa sera inizierà la XVIII Assemblea nazionale. Vi auguro di vivere anche queste esperienze non come adempimenti formali, no, ma come momenti di comunione, momenti di corresponsabilità, momenti ecclesiali, in cui contagiarsi a vicenda con abbracci di affetto e di stima fraterna (cfr. Rm 12, 10).

Carissimi, grazie per quello che siete, grazie per quello che fate! La Madonna vi accompagni sempre. Prego per voi. E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me, a favore, non contro! Grazie.


Festosa invasione a piazza San Pietro

La gioia della missione


Hanno pacificamente invaso le strade intorno a piazza San Pietro fin dalle prime ore del mattino, sciamando vocianti ma composti sotto una miriade di bandiere e striscioni che indicavano i diversi luoghi di provenienza. Sono i circa sessantamila soci e amici dell’Azione cattolica, provenienti da tutte le diocesi d’Italia, che  hanno voluto testimoniare davanti a Papa Francesco il loro modo di vivere l’impegno per l’oggi e per costruire il mondo di domani, avendo a cuore la pace e la cura della casa comune. E appena aperti i varchi di accesso, il Colonnato del Bernini “a braccia aperte”, questo lo slogan dell’iniziativa, ha accolto volti e storie di ogni età che hanno ancora molto da dire al Paese e alla Chiesa. 

Dopo il canto iniziale “Chiamati per nome” e la lettura della preghiera cristiana ecumenica tratta dall’enciclica Fratelli tutti, è seguito un momento di preghiera presieduto dal vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale, che ha proposto una riflessione, sottolineando l’importanza dell’incontro con Cristo che aiuta ad andare avanti anche nei tempi drammatici attuali, invitando a essere sempre più testimoni del Risorto in ogni campo della vita: «Qui perché la gioia è missionaria» recitava infatti uno striscione. Dopo la recita del Padre nostro e la benedizione di monsignor Giuliodori, i “Rulli frulli” hanno raccontato la loro vicenda di banda musicale di inclusione, dove ognuno può partecipare suonando strumenti inusuali. Il presidente nazionale di Ac, Giuseppe Notarstefano, ha poi commentato   il rapporto tra l’associazione e il Papa,  soprattutto «l’insegnamento che ci ha dato invitandoci a essere  una Chiesa in uscita e sostenendoci nelle nostre innumerevoli sfide che affrontiamo sempre con il sorriso e, appunto, a braccia aperte». Dopodiché il cantautore Emanuele Fossi ha intonato l’omonimo inno prima dell’ingresso di Neri Marcorè che ha cantato un testo contro la guerra e la celebre Il pescatore di Fabrizio De André. Qualche minuto dopo Francesco ha fatto ingresso nella piazza sulla papamobile a bordo della quale hanno preso posto alcuni bambini di Ac. Al termine del suo discorso il Pontefice è risalito sulla vettura bianca scoperta e ha  salutato i presenti, soffermandosi a parlare con parecchi di loro. Successivamente sono saliti sul sagrato due soci, provenienti rispettivamente dalle diocesi di Bologna e Vicenza, con un giovane di Nazareth e una ragazza ucraina, che hanno parlato della loro esperienza di accoglienza e solidarietà. È stato  proiettato  un video del patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa, che ha ringraziato Ac per le attenzioni di amicizia e vicinanza presenti e future  verso la Terra Santa. Per quanto riguarda il tema della cura del creato, hanno raccontato la loro esperienza nel dramma delle alluvioni  due giovani provenienti dalle Marche e dall’Emilia-Romagna, accompagnati da un  video  sul supporto di Ac alle persone colpite da queste calamità. 

L’incontro con Papa Francesco ha fatto da prologo ai lavori della xviii Assemblea nazionale elettiva dell’Ac, “Testimoni di tutte le cose da lui compiute”, che si svolge a Sacrofano, presso la Fraterna Domus, dal pomeriggio odierno alla mattina di domenica 28, dove mille delegati dalle diocesi  eleggeranno il Consiglio nazionale  per il triennio 2024-2027.