· Città del Vaticano ·

Bailamme

Il cielo stellato
dal fondo dell’inferno

 Il cielo stellato dal fondo dell’inferno  QUO-090
19 aprile 2024

La guerra fa paura. E la paura fa la guerra. Il circolo è vizioso. L’uomo schiavo delle proprie paure diventa aggressivo e violento. La paura dell’uomo, in fondo, è la paura della morte. E per questa paura finisce, paradossalmente, per dare la morte. La violenza dell’uomo impaurito trasmette a sua volta paura intorno a lui, e così tutto prosegue in una spirale che semina morte e terrore nel mondo. L’Europa, dopo tanti anni di pace, si vede ora come circondata da guerre che scoppiano dentro o sempre più vicino ai suoi confini. La sensazione è quella della mancanza d’aria, di luce, di speranza. Una sensazione angosciosa di sospensione, senza nessuna capacità di vedere lontano, la vista è limitata all’oggi, al domani, e lo scenario è sempre più cupo, come se fossimo bendati e camminassimo sull’orlo del baratro. In questo buio nel quale l’uomo stesso si è andato a ficcare, a volte sembra penetrare un barlume, una luce che si fa strada e dona speranza e calore. È la luce della fede. Qualche giorno fa Papa Francesco ha mostrato un libretto di preghiere e il rosario di un giovane soldato ucraino, Oleksandr, morto in battaglia. La preghiera è dell’uomo “precarius”, che sente la caducità della propria esistenza e si affida a qualcosa di più grande.

È proprio l’orrore della guerra che spinge i soldati a una solidarietà tenace con la vita, con gli altri esseri umani, con gli amici, i compatrioti, ma anche con i nemici, con i vivi ma anche con i morti che quell’orrore hanno già attraversato e da quella violenza cieca e disumana sono stati già investiti.

Sul fronte della Prima guerra mondiale il poeta toscano Giuseppe Ungaretti è “esploso” con i versi memorabili di Veglia: Un’intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio / ho / scritto / lettere piene d’amore / Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita.

Così come un altro Aleksander, Zatsepa il suo cognome, ucciso sul fronte russo della seconda guerra mondiale, ha lasciato una lettera, trovata poi nella tasca del suo cappotto, rivolta direttamente a Dio che non necessita di alcun commento: «Ascolta, Dio... Non ti ho ancora mai parlato della mia vita, ma oggi voglio salutarti. Tu sai che da quando sono bambino mi dicono che Tu non esisti, e io come un imbecille ci ho creduto. Non avevo mai contemplato quanto tu hai creato. Ma questa notte... ecco che ho guardato, dal fondo di un cratere scavato da una granata, il cielo stellato sopra di me. Ho compreso tutto d’un colpo, ammirando l’universo, quanto l’imbroglio sia stato crudele. Dio, io non so se Tu mi tenderai la mano, ma io Te lo dirò e Tu capirai: non è strano che, in fondo a questo inferno abominevole, la luce si sia rivelata a me, e che io Ti abbia riconosciuto? A parte questo non ho niente da dire, solo che sono felice di averTi riconosciuto. Il nostro attacco deve aver luogo a minuti, ma non ho paura: Tu ci vedi... Ecco il segnale. Che faccio? Devo andare? Stavo bene, con Te, e voglio ancora dirTi che, come sai, la battaglia non sarà facile. E forse stanotte verrò a bussare alla Tua porta. Ecco... anche se fino ad ora non sono stato Tuo amico, mi permetterai di entrare quando arriverò? Ora sembra che io stia piangendo... mio Dio, Tu vedi quello che mi succede, ora sono cresciuto. Addio, mio Dio, vado. E ho poche probabilità di tornare. Che strano, adesso non ho più paura della morte». 

di Andrea Monda