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La Buona notizia
Il Vangelo della II Domenica di Pasqua (Gv 20, 19-31)

Dall’incredulità alla fede

 Dall’incredulità alla fede  QUO-075
02 aprile 2024

A un occhio esercitato alla storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, il brano di Giovanni 20, 19-31, con l’episodio dell’incredulità dell’apostolo Tommaso, fa suonare un campanello d’allarme. E non solo perché è assente nei Vangeli sinottici e presente nel solo Giovanni, considerato, a torto o a ragione, il più critico dei Vangeli verso gli ebrei, ma soprattutto perché l’incredulità è, per tutto il primo millennio, certamente fra le più diffuse delle accuse rivolte agli ebrei. Gli ebrei che non hanno accettato il Messia, che non lo hanno riconosciuto come tale, che non gli hanno creduto. È l’accusa principale, molto più diffusa di quella di deicidio, che diventerà invece dominante solo nel clima delle crociate, con l’enfasi posta sulla passione e il deicidio. Eppure, il brano del Vangelo giovanneo non appare fra quelli a cui si riferiscono i padri della Chiesa nella loro pur tanto dura polemica contro i giudei. Tanto è vero che, successivamente, a partire circa dal vii secolo, a definire l’incredulità ebraica ci si riferirà a tutt’altro termine, “perfidia”, lo stesso termine che nel Novecento ha conosciuto tante modifiche e su cui si sono innestati tanti dibattiti.

L’incredulità di Tommaso l’apostolo, in un’epoca in cui certo non si tendeva a sottolineare l’ebraicità di Gesù e dei suoi seguaci, resta quindi conchiusa nell’ambito del nascente cristianesimo, e finisce inoltre per sfociare nella fede, nella credenza della resurrezione, anche se Tommaso ha dovuto passare per credere attraverso il “toccare con mano”, l’evidenza della prova, una prova che però sfocia in un’esaltazione di quanti, senza toccare, pur credono. Non è insomma un’esaltazione del dubbio, quella narrata nel Vangelo di Giovanni.

L’incredulità degli ebrei, pur tanto sottolineata in chiave antigiudaica, è invece collettiva, di tutti gli ebrei, e frutto della loro “dura cervice”. E non propensa a sfociare in una conversione alla fede nel Cristo: a loro non basterebbe toccare le sue stimmate per credere. E non basterebbe ricordare Tommaso per redimerla. Una netta differenziazione fra il “noi” e gli altri, nonostante pur sempre di incredulità, sia pur differentemente nominata, si tratti.

Un’incredulità tuttavia, quella dell’apostolo Tommaso, ricordata nei secoli, dipinta, scolpita, assunta quasi a proverbio popolare. Innumerevoli, lo sappiamo, le opere che la dipingono, ma la più grande di tutte è senz’altro, credo, il dipinto di Caravaggio, con lo sguardo assorto e intenso dell’apostolo che tocca le piaghe del Cristo, e un Cristo a sua volta piegato sul dito di Tommaso, quasi a verificare anche Lui la Sua resurrezione. Un’immagine questa che può ben invece rappresentare il dubbio. 

di Anna Foa