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Vita, dono e mistero

 Vita, dono e mistero  QUO-057
08 marzo 2024

Dalla prima all’ultima pagina, da Eva fino alla «Donna vestita di sole» dell’Apocalisse, la Bibbia è piena di figure femminili. In alcuni casi danno con il loro nome anche il titolo al singolo libro, come Rut o Ester, ma c’è in particolare una figura di donna, senza nome, che colpisce, viene da dire “oggi più di ieri”, perché si staglia per grandezza e luminosità pur nella brevità della sua apparizione nel testo biblico. È la figura della madre dei fratelli Maccabei, al capitolo 7 del secondo libro dedicato alla drammatica rivolta degli Ebrei, avvenuta nel secondo secolo a.C., guidata appunto dai Maccabei contro il re Antioco iv Epifane di Siria, fautore dell’ellenizzazione della Giudea.

Questo episodio ci riporta ad una situazione di guerra e di persecuzione e mostra un aspetto tragico della guerra più volte ricordato dal Papa: che il volto della guerra non è solo quello maschile, dei soldati costretti a marciare e a marcire sul fronte, ma è anche quello femminile, delle donne, madri, sorelle, mogli, figlie, che vedono, lontane e impotenti, morire i loro cari.

Il testo biblico è potente, struggente: «La madre era soprattutto ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché vedendo morire sette figli in un sol giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di essi nella lingua paterna, piena di nobili sentimenti e, sostenendo la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro:  “Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il creatore del mondo, che ha plasmato alla origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi”».

Questa donna è uno straordinario “crocevia della vita”, riesce con il suo atteggiamento e le sue parole, “in dialetto”, a compiere il miracolo di unire punti tra loro distanti, spesso separati e apparentemente inconciliabili. Unisce la tenerezza femminile e il coraggio maschile, unisce l’origine della vita con la fine, il passato con il futuro, la causa e il destino dando così speranza ai figli torturati e uccisi e infine comprende, con il suo “fiuto”, che nel momento della generazione della vita, entra in gioco un altro fattore, che in quel momento il divino si unisce con l’umano.

Pur madre per sette volte, questa donna rispetto al fatto della generazione ha il coraggio di ammettere “non so”, due paroline potentissime che oggi l’uomo contemporaneo, abbacinato dall’illusione scientista del controllo, ha come smarrito, rimosso.

E così dicendo, riconoscendo che Dio è all’opera ogni volta che una donna genera vita umana, presenta in modo sintetico ed efficace la visione biblica e quindi cristiana della vita che è dono e mistero, e per questo sacra, intoccabile e non “a portata di mano” degli uomini, anche quando sono le mani dei potenti di turno che ne fanno scempio.

In questo momento di guerre che nel mondo ogni giorno mietono vittime, le parole di questa donna ricordano che la vita va trattato come ogni dono: rimessa “in circolo” e donata a servizio degli altri e non manipolata, strumentalizzata, depredata, violata.

di Andrea Monda